Cambiare l’acqua ai fiori ha un impianto strutturale molto antico. Si potrebbe infatti rapportare alla struttura delle fabulae milesiae, antesignane del romanzo, riprese, nella tradizione latina, da Petronio e da Apuleio. L’autrice, non so quanto consapevolmente, ha attinto proprio alla più classica: quella ad incastro. Infatti la storia, che presenta una fabula piuttosto scarna, viene accresciuta via via da diverse altre storie, molte delle quali ridondanti e poco legate al nucleo centrale del racconto: una matrioska di narrazioni, alcune delle quali del tutto autonome (la storia di Irène e di Gabriel, ad esempio, o anche la storia di Françoise e Philippe, quella di Paul e Julien), che si collegano con la trama principale solo tangenzialmente.
Il narratore principale, sempre interno, cioè Violette, si alterna con altri personaggi nella variazione anche del genere letterario: la lettera, il diario intimo e così via: l’autrice utilizza la carta della commistione di molti generi nel gioco della variazione. Tuttavia la narrazione non ne risente positivamente, poiché non c’è alcuna variazione del registro linguistico, non esistono quasi i dialoghi e, soprattutto, il narratore – sia interno, sia esterno – racconta non solo i fatti ma anche le emozioni, sostanzialmente troncando il nostro contributo di lettori: ci viene continuamente spiegato non solo ciò che hanno fatto e compiono i personaggi, ma anche ciò che sentono, vale a dire le emozioni. Ne consegue che il lettore ingenuo viene acchiappato dalla scorrevolezza del testo poiché non gli è richiesto alcuno sforzo, e alla fine del romanzo avrà l’impressione di aver letto un libro assai gradevole e anche coinvolgente. Ma solo perché sarà stato confermato nelle sue emozioni e nei suoi sentimenti più semplici ed elementari, oserei dire generici – ma certamente è stato tenuto a debita distanza dalle riflessioni più profonde sugli universali del sentire umano, e quindi poco può arricchirsi a livello personale. Ha solo passato qualche ora gradevole di lettura.
Sfaterei dunque il mito di questo romanzo per ricondurlo nell’alveo dei libri furbi costruiti per acchiappare i lettori più ingenui, conducendoli falsamente sul territorio di un argomento grave, cioè la morte, ma trattandolo con una leggerezza non di stile, ma solo di intenti, poco credibile e anche un po’ grossolana.