Lara Gregori – Quattro colonne

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«Quando?»
«Domani».
La voce di Martín arrivò molle, come se la sua risposta si fosse infranta nella sudicia vetrata che stava fissando.
Arsenio a tratti lo guardava, e a tratti si specchiava con i propri pensieri nel boccale di birra scura appoggiato sul tavolo; il locale di Don Toñio era gremito dai soliti clienti, ma il brusio di quelle chiacchiere svagate non penetrava il loro silenzio.
«Vuoi un’altra birra?», gli chiese, osservando il bicchiere vuoto dell’amico.
Martín restò muto, senza nemmeno voltarsi.

Arsenio si alzò, allontanandosi, e ritornò poco dopo, con un  boccale colmo e spumoso. Lo posò delicatamente vicino alla mano di Martín e si accomodò di nuovo, in rispettoso silenzio, di fronte all’immobilità assorta del compagno. Era l’unica consolazione che era in grado di sostenere, l’unica che poteva sentire vera.

Arsenio tornò a specchiarsi nella birra e nei ricordi di quel giorno. Sentiva ancora il puzzo della paura: tra i riflessi scuri del malto rivide l’uomo a casa di Martín, gli occhiali neri in rilievo sotto il passamontagna, i vestiti eleganti, l’atteggiamento pacatamente letale. Rivide le canne delle pistole e della mitraglietta dei suoi tirapiedi puntate sul terrore di Ana.
«Bene», aveva detto l’uomo, «facciamola finita con questa storia. Io so perfettamente chi è lei, tenente Martín».

«E lei chi è?», aveva risposto Martín.
«Rappresento le bande professioniste di questa zona della città e sono venuto a chiederle, a pregarla oserei dire, di smetterla di darci fastidio; giri la faccia dall’altra parte e ci lasci lavorare in pace. Si ricordi della sua bambolina – indicando Ana – e del bambolotto che porta lì dentro – e le aveva indicato la pancia. Arresti pure gli scippatori e i pesci piccoli, ma lasci in pace noi. Questa è la prima e unica volta che parleremo pacificamente.

Siamo gente importante, amico. Se preferisce, e ci pensi bene, dica semplicemente quanto vuole. La ricontatterò una volta sola. E preghi di non rivedermi in questo modo».
Se n’erano andati così, lui e i suoi scagnozzi. Ana singhiozzava, a Martín erano rimaste soltanto le braccia per proteggerla. Ma non sarebbero bastate a fermare i proiettili.

«Arsenio, ma perché non scrivi di tramonti e di passioni d’amore anziché di morti ammazzati?». La voce di Martín lo distolse dal tanfo dei ricordi. Alzò gli occhi sull’amico e si accorse che aveva ancora lo sguardo rivolto alla vetrata, ma non era più assente. Erano rimasti pochi avventori nel locale e il chiacchiericcio di prima si era trasformato in un pacato sussurro, distante.

Anche Arsenio si voltò a guardare nel vetro: la giornata nitida volgeva all’imbrunire e l’orizzonte dei colli di Bogotà era pennellato di grossi spicchi infuocati. Di lì a poco il cielo avrebbe regalato un incendio maestoso. In giornate come queste, se guardi solo ai colli si può anche pensare che Bogotà sia un lembo di paradiso.

Martín lo fissò: «Se fossi uno scrittore come te, scriverei solo di queste cose», ribadì, accennando con gli occhi al di là della lastra.
Arsenio si limitò a ricambiare lo sguardo.

Martín si fregò la fronte: «Non so se ho fatto la scelta giusta, Arsenio. Domani cattureremo quei pezzi di merda e si scoprirà che era Perientas, il vice capo della Polizia di Stato, il mandante dei furti in centro città. Per finanziare l’AUC . Ma uscirà Fernandez, il boss di Calì. Cinque anni di indagini e 30 dei miei uomini morti prima di catturarlo».
Arsenio ascoltava quella pena in silenzio.
«Se si deve bere una medicina amara, serve a qualcosa poter scegliere tra due diverse, ma ugualmente amare?».

Arsenio non sapeva rispondere, ma tentò ugualmente di riassestare la bilancia dell’animo di Martín: «Resta comunque un corrotto di meno tra le file della polizia».

Martín scosse la testa, con un piego amaro: «Non sono così stupido, Arsenio. Se sono riuscito a farlo è solo perché Fernandez finanzia qualcuno che sta più in alto. Alla fine, è lui il pesce grosso e, grazie a me, Perientas è diventato solo un pesce piccolo. Si sa, una volta fuori dall’acqua, qualsiasi pesce perde peso in poche ore». Guardò di nuovo fuori dalla vetrata. Il buio della sera si era fatto strada tra le ultime faglie del tramonto. «In fondo, l’ho fatto solo per salvarmi il culo. E tu lo sai bene». Martín concluse così, trangugiando d’un fiato il boccale di birra, fermo da ore e ormai caldo come il piscio.

Arsenio si voltò a guardare la sera. Le ombre dell’oscurità nascente risaltavano sulle macchie unte del vetro. Alzando di più gli occhi, si potevano intravedere le prime stelle della notte accendersi. «Sai, Martín, non si possono raccontare i giorni guardandoli solo da una fessura. Ecco perché non so scrivere solo di tramonti e passioni».
«Già». La voce di Martín aveva il sapore disincantato delle more passite.

Due giorni dopo, Arsenio uscì di buon’ora. Il chiarore mattutino era rappezzato da piccole nubi marmoree. Sulla strada, di fronte a casa sua, un ragazzino gridava a squarciagola, sventolando con la mano “El Tiempo”: «Comprate il giornale! Comprate il giornale! Notizie sensazionali! Fernandez è fuggito dalla prigione! Arrestato Perientas! Comprate il giornale!».
Arsenio allugò due monete al piccolo e prese il quotidiano.

La prima pagina era divisa in due: a destra la notizia di Perientas, a sinistra quella di Fernandez. Due colonne ciascuna. Al centro, sul fondo, un piccolo quadrato reclamizzava il nuovo programma di alfabetizzazione per i ragazzi di strada. Arsenio si soffermò a lungo ad osservare, rapito. Era come aver visto un quadro.

 

[1] Autodifese Unite della Colombia: milizie paramilitari responsabili di razzie e massacri di campesiños, appoggiate dall’esercito.

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