Tullio Avoledo – L’anno dei dodici inverni

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L’amore non accetta sconfitta

In una giornata fredda e grigia del gennaio 1982, due giovani genitori ricevono la visita di un anziano giornalista che fa loro una singolare proposta: vorrebbe incontrarli una volta all’anno per seguire la crescita di loro figlia Chiara, venuta al mondo poche settimane prima, il 25 dicembre, e includerla cosi in un progetto giornalistico che ha in mente di scrivere sui bambini nati a Natale. La coppia accetta e, da quel giorno, l’uomo, che si fa chiamare Emanuele Libonati, si ripresenta a casa loro quasi ogni anno nuovo, diventandone amico e confidente. Ma chi è veramente quella persona enigmatica, a tratti perfino inquietante, che sembra non invecchiare mai?

Siamo di fronte a una favola post-moderna tracciata avanti e indietro su un orizzonte che va dal 1981 al 2028. Tullio Avoledo ci conduce in un viaggio nel tempo al suono di musiche splendide, ma il mondo che ci racconta sembra avere smarrito ogni musica.

È un gioco del tempo attraverso il tempo stesso, una corsa a perdifiato in quasi cinquant’anni di una famiglia italiana, una storia d’amore che è motore e ragione di un’epopea straordinaria e stupefacente.

Non ci sono parole che riescano a contenere questo amore, così come non abbiamo mai un’esatta collocazione temporale su cui poter fissare il punto di partenza e men che mai un punto di arrivo: ogni cosa, ogni evento ondeggia, si intreccia, si scontra sino a ferire ciascuno degli interpreti in copione.

E il pretesto del viaggio nel tempo rimane l’unico stereotipo impiegato da Avoledo nel suo racconto, per il resto particolarmente originale e ricco di spunti ucronici e fantascientifici. Sentito l’omaggio a Philip Dick e sempre intensa l’aura magica che tutto permea, avvolgendoci, soffiando fra le pagine portando incredulità, spargendo emozioni, facendoci scoprire un mondo riconoscibile e comunque sconosciuto.

La lingua è nitida, ricca, ma non solo funzionale alla narrazione; è precisa nell’inquietudine che svela, attraversando i generi fra futuro, sentimenti portati in scena con grande tenerezza e risvolti psicologici.

Tante storie in un solo libro, un racconto emozionante per lunghi tratti, e la sensazione di solitudine che arriva con l’ultima pagina, portando con sé la voglia di ricominciare a leggere.

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Giorgio Olivari nasce a Brescia nel secolo scorso. È professionista nel campo del disegno industriale da più di trent’anni. Dopo i primi quarant’anni da lettore scopre la scrittura per caso: uno scherzo della vita. La compagna di sempre lo iscrive a un corso di scrittura creativa: forse per gioco, più probabilmente per liberarsi di lui. Una scintilla che, una volta scoccata, non si spegne ma diventa racconto, storie, pensieri; alcuni dei quali pubblicati dai tipi di BESA in "Pretesti Sensibili" (2008). La prima raccolta di racconti brevi, "Futili Emotivi", è pubblicata da Carta & Penna Editore nel 2010. La sua passione per la letteratura lo ha portato a “contagiare” altri lettori coordinando gruppi di lettura: Arcobaleno a Paderno Franciacorta, Chiare Lettere a Nave.

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