Il saggio di Thomas Hippler presenta una profonda analisi della guerra aerea e delle sue conseguenze sociali. L’autore ripercorre lo sviluppo dell’aviazione militare, descrivendola dal punto di vista del pensiero che ne detta le mosse, con l’intento di offrire una storia sociale della distruzione dal cielo.
L’arrivo dell’aereo ha cambiato radicalmente il modo d’intendere la guerra. La quale, un tempo affare da scacchisti che plasmava gli Stati come costrutti territoriali con confini ben definiti, diventa ora una guerra priva di confini, in cui i civili diventano bersaglio. Come sottolinea Hippler, la svalutazione delle popolazioni nemiche da esseri umani a obiettivi avviene dapprima nel teatro coloniale, dove il razzismo imperialista vede già gli indigeni come massa informe di nemici biologici da sterminare.
Il libro, infatti, parte dalla testimonianza di Giulio Gavotti, che nel 1911 fece cadere da un aereo una bomba direttamente su un gruppo di non combattenti appartenenti a una tribù libica che resisteva all’invasione italiana. Da quel momento cambia il modo stesso di intendere quello che può essere definito un obiettivo di guerra legittimo: ciò che prima era un crimine diventa una condotta bellica lecita, saldando insieme l’apparato militare del nemico e la sua società in un tutt’uno da colpire e distruggere.
Hippler non offre una storia militare dell’aviazione: il saggio rappresenta un forte invito alla riflessione sulle conseguenze sociali della guerra aerea, sulla sua capacità di distruggere le persone e le loro comunità. Non si tratta di un libro facile da leggere, ma certamente offre spunti di riflessione interessanti per chiunque sia interessato alla storia e alla filosofia della guerra moderna.
Non leggetelo se siete affezionati al mito degli “italiani brava gente”, se siete appassionati delle biografie dei “cavalieri dell’aria” in stile Barone Rosso o se vi state preparando a celebrare il centenario dell’aeronautica italiana, perché potrebbe rovinarvi la festa.