“Siamo soli” è un romanzo che declina la solitudine, diviso in cinque parti (dis)simili e diseguali e denso di note autoriali, attraverso il quale il testo si fa ipertesto anche di relazioni, di eros mal corrisposto, di amore mal riposto.
Filosofeggiando tra rutilanti giochi di parole e rimandi continui, Chiara Daino si dimostra sacerdotessa della parola poetica, che riesce ad imprimere alla prosa esacerbandola di sensi e controsensi, di doppi sensi e sensi unici [la solitudine] senza mai banalizzare né fossilizzarsi nel ribadimento coatto tanto in uso: qui la parola danza di senso compiuto, guizzando creatrice inesausta tra i significati e le sensazioni del linguaggio, soffermandosi sulle pieghe e sulle piaghe delle solitudini con ferma e spietata lucidità, con sguardo ora compassionevole ora affilato nel denso magma dell’essere [soli].
Eruttiva come una sinfonia rock, compatta come un concept album, quest’opera riluce di densità stellare, dimostrandosi romanzo compulsivo virato seppia: Non c’è filo quando scrivo. Ne sei certo? O ti dai per vinto? Un po’ mi diverto, ma è rosso: è a cuore aperto –l’operazione sulla lingua. È senza veti. È sul mondo, senza veli.
È un libro da leggere d’un fiato che non si può comprendere in un fiato, ossigeno fluido di parole [pensieri, concetti, emozioni (in)esplorabili] che destano la coscienza e la reminiscenza. Un testo che qualcuno potrebbe ritenere poco digeribile e pesante: il lettore mi insulterà, per la complicanza; la critica padrona mi demolirà: «respinta!»; toccherà a qualche Poeta l’ultima postilla. Si tratta del peso specifico dell’ipersenso, solo in apparenza a tratti insensato: solo per chi si ferma [alla superficie].
Fiammeggiante groviglio ludico ma non illusorio, questo romanzo, che, come detto, a leggerlo tutto d’un fiato lascia senza fiato, è sublime di profondità esplorate ed effluvia il lettore di Pensiero e di pensieri; denso di citazioni, di cultura non parassitaria né esiziale (ma fondamenta su cui si erge la struttura tutta del racconto, fatta di canti e controcanti, di voci sovrapposte, di coscienze che si [de]lucidano e non retrocedono mai), riesce a frantumare la realtà ricomponendola in co-scienza, grazie anche all’uso e al rimpasto cosciente del riferimento. Senza evitare d’interrogarsi sul proprio scrivere e sullo scrivere, e dando risposte pervasive, fino a comporre un menabò dell’anima (inevitabilmente condannata all’abbandono e, dunque, alla solitudine). E la chiave di lettura non è nel finale, ma nell’ultima nota al testo: “La lezione [lectio difficilior] è: siamo soli. Voi brillate… Io sono esplosa.
Geniale e apodittico, il testo della Daino non è per chiunque ma è per tutti: perché tutti siamo soli.