Quando il telefono squilla al comando di Polizia di Monterosso sono le 9 e 37 della sera e il commissariato è deserto. A rispondere è il brigadiere Antonio Lagandara; all’altro capo del telefono un certo Giorgio Roccella chiede l’intervento della polizia per una scoperta appena fatta nella propria casa di Monterosso, disabitata da anni. Il commissario prende la chiamata come lo scherzo di qualche burlone, cercando di convincere della cosa anche il brigadiere. Questi, tuttavia, si reca sul posto il giorno dopo e trova il corpo di Roccella, all’apparenza suicidatosi con un colpo di pistola alla testa. Da quel momento le indagini prendono un percorso ingarbugliato, portando infine Lagandara alla scoperta di un’amara quanto sconcertante verità.
Sciascia apre il romanzo con una citazione di Dürrenmatt: Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia. A dispetto del titolo, la vicenda narrata non è affatto semplice: emerge in tutta la sua aggrovigliata complessità, con una tensione crescente e colpi di scena degni della migliore letteratura poliziesca.
La storia denuncia il sistema mafioso siciliano, con le sue complicità radicate fin dentro le istituzioni pubbliche. Mafia e droga, alla base della trama, non vengono mai nominate espressamente, ma la loro inquietante presenza soffia lungo tutto il romanzo. Mai nominata neppure la Sicilia, anche se la sonnolenza e l’indolenza che aleggiano nell’aria, assieme alla latitanza dello Stato, non lasciano dubbi in merito all’ambientazione.
La parte del protagonista è affidata a Lagandara, poliziotto modello, onesto e fedele servitore dello Stato che affronta la difficile battaglia per la verità, nonostante depistaggi e comportamenti omertosi. Ma Una storia semplice è soprattutto una seria indagine sulle rimanenti possibilità di perseguire la giustizia. La verità, infatti, verrà a galla solo nel colpo di scena finale, dopo che le istituzioni avranno già reso pubblica una versione di comodo sulla soluzione del caso.
Da notare il riferimento esplicito a Pirandello (attraverso alcune presunte sue lettere citate nella vicenda), autore siciliano che, come Sciascia, ha spesso esplorato e messo in scena il tema scottante della verità. Anche le parole del professor Franzò (uno dei protagonisti del romanzo) suonano come una sorta di testamento spirituale dell’autore: ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza.
Lo stile fluido e garbato e il registro informale facilitano la naturale avidità di lettura che il giallo provoca nel lettore. Siamo di fronte a un vero gioiello di scrittura essenziale, in cui però nulla è lasciato al caso. I personaggi, quasi tutti volutamente senza nome, spiccano come puntuali cliché della realtà siciliana e italiana. Concretezza che vede spesso Stato e mafia procedere a braccetto invece di affrontarsi in una lotta senza quartiere. La denuncia sociale, come la piaga dell’omertà, striscia nel non detto, intrisa della sapida ironia di cui Sciascia è maestro.
Un capolavoro che in sessantasei brevi pagine accontenta il lettore ben più delle centinaia di inutili banalità spesso spacciate un tanto al chilo da autori meno efficaci. Imperdibile.