Miriam Mafai – Pane nero

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La lunga strada verso l’emancipazione femminile 

Il libro di Miriam Mafai, a metà strada fra saggio e inchiesta giornalistica, narra la progressiva emancipazione delle donne italiane a partire dagli albori del secondo conflitto mondiale fino al 1945. Si narra di donne piccolo-borghesi che affrontano i venti di guerra con la garbata leggerezza suggerita da Grazia o da Mani di fata, di donne proletarie delle quali una su quattro non sa né leggere né scrivere, tutte accomunate da una sola preoccupazione: non rimanere zitelle. Gli anni del ventennio, infatti, non sono passati invano, e la convinzione che l’unica carriera onorevole per una donna sia costituita dal matrimonio e dalla maternità si è radicata profondamente nei padri e, soprattutto, nelle madri. Ma la guerra, raccontata nel suo esordio dai cinegiornali come una gloriosa avventura che si sarebbe esaurita in poche settimane, non accenna a finire e quando, all’improvviso, l’uomo di casa parte, c’è all’inizio uno stupore, un disagio. Si tratta di riorganizzare la propria esistenza (…). Si tratta di imparare a gestire i conti di casa, (…) di firmare la pagella dei figli. (…) Per molte donne queste sono le prime decisioni della loro vita (…). I soldi: le donne sono abituate a spenderli, giorno per giorno, o a risparmiarli. Adesso la guerra le spinge a cercare di guadagnarli.
Mese dopo mese, le sempiterne mogli o figlie sono costrette a vendere il corredo per acquistare un chilo di zucchero o un panetto di burro alla borsa nera, occupano nelle fabbriche i posti che prima spettavano agli uomini; prive di istruzione, si accostano alle idee socialiste, leggono Gorkij e Vittorini, e alcune di loro si avvicinano ai movimenti partigiani. Incontriamo Rosa, Laura, Cesarina che per mesi va avanti e indietro in bicicletta da Modena a Bologna, staffette partigiane che consentono i collegamenti fra le bande, che trasportano volantini, giornali, documenti, armi.
Finalmente, nell’aprile del 1945, arriva la Liberazione, e con essa il ritorno alla normalità. L’Italia sopravvissuta alla guerra è ancora tradizionalista e bacchettona: le donne che sfilano armate nelle manifestazioni partigiane suscitano sospetto e, talvolta, dileggio; chi ha un fidanzato si sposa e i giornali invitano le mogli alla mitezza: Dovrai essere molto arrendevole, non dovrai imporre la tua volontà, recita il giornale di sinistra Noi Donne.

Si esce dalla lettura frastornati da una narrazione volutamente frammentaria, in cui i dati storici si alternano alle voci delle protagoniste, in un coro che rende efficacemente la molteplicità delle situazioni, dal nord al sud, dalle università alle fabbriche. Rimane l’amarezza per una Liberazione che non fu sostanzialmente tale per le donne (il personaggio grottesco della compagna Gisella, più dedita alla politica che alla casa e punita da Don Camillo nel celebre film del 1961, ne è una chiara testimonianza).

Una lettura che offre spunti di riflessione per la comprensione del nostro passato, ma soprattutto del nostro presente.

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Antonia Buizza è nata a Brescia nel 1972 e ha trascorso tutta la sua vita a scuola, passando senza interruzioni dal banco alla cattedra. Attualmente insegna lettere in una scuola media della Franciacorta. vive in Franciacorta, dove svolge l'attività di insegnante. Recentemente ha pubblicato la sua prima antologia di racconti, "Fuori fa bel tempo" (Prospero, 2017).

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