In una notte qualsiasi nella quale, come tante volte accade, non si ha nulla da fare e si avverte il bisogno di parlare e di ascoltare, per evitare di farlo con piatti, bicchieri o muri, può accadere di inventarsi un figlio. Un figlio mai nato ma che avrebbe potuto esserlo.
Questo è il tema del libro Il giro dell’oca di Erri De Luca, una lunga riflessione rivolta a se stesso, fatta di risposte alle domande di un figlio che non ha mai avuto, concepito in gioventù con una donna che però lo rifiuta e abortisce. Scelta cui non si oppone perché non contavo niente nella sua decisione presa e fatta. Ecco allora che l’autore, dopo aver (ri)letto Pinocchio, s’inventa questo figlio e lo fa nascere dalla propria immaginazione già adulto e capace di formulare domande e analisi. E con il desiderio di sapere com’è stata la vita di suo padre.
Erri De Luca, in questo confronto fantasma, ripercorre la propria vita, dall’infanzia a Napoli con genitori e nonni, quando il suo bisogno di libertà l’ha portato ad andare a stare dove non potevo farne a meno, e dall’impegno di lotta politica, ai momenti dedicati ai sentimenti e ai tentativi di tenerezze, passando dalla scrittura e dal modo in cui si colloca nel mondo degli scrittori.
Per una notte, alla luce e al calore del camino acceso, l’autore si cala nella dimensione di moderno Geppetto e si regala quella paternità che non ha mai avuto; tra i tanti elementi di una vita passata piena di esperienza su cui riflettere, l’essere padre diventa una cosa reale. De Luca fa sedere suo figlio ormai adulto e lo guida rispondendo alle domande che avrebbe voluto gli facesse se fosse esistito. La riflessione lo porta a raccontarci e a raccontarsi i tanti perché del suo vissuto, dando l’impressione del desiderio di tornare indietro nel tempo e arrivare davvero a parlare con un figlio, cresciuto e amato. Una confessione a tutto tondo, misurata ma dando peso alle parole e giustificando i molteplici aspetti della sua vita, i vari se stesso che l’hanno accompagnato, cui lui dà importanza facendone fonte d’insegnamento con convinzione perché, come dice in risposta a una contestazione del figlio immaginario, Do del tu a una delle parti di me stesso. Sono più numeroso del semplice due.
In questo incedere di domande e risposte, mettendo una fetta di pane sulla brace come scusa per continuare il dialogo, lentamente il padre diviene meno concreto, quasi incorporeo, mentre il figlio prende dimensione, si fa più incisivo, reale e le sue domande diventano anche accuse all’operato del padre, portando De Luca a dare spazio e ragione all’autocritica.
Accompagnandoci verso il finale, si toglie dal palcoscenico da lui stesso creato e lo lascia al personaggio che ha inventato, dandogli la dignità di un’esistenza e la concretezza delle idee.
Usando le parole, come sempre, in modo mirato, preciso, dando loro la giusta importanza e collocazione, Erri De Luca, con questo libro, ci porta a riflettere a nostra volta, come se stessimo vivendo una sliding door, e resta dietro le quinte lasciando ai suoi personaggi il compito di dire le cose importanti. Per una notte cancella se stesso dall’essere un autore, si concede solo l’esistenza dell’essere padre, mettendosi alla prova in una realtà che non esisterà mai, tranne che per quella notte.
Un libro di riflessione profonda e di splendida scrittura.