Emil M. Cioran – Un apolide metafisico

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Scrivere su Cioran implica in qualche modo già tradire il suo pensiero. Quando colui che non ambiva ad avere discepoli seppe di essere oggetto di tesi di laurea, ebbe a sorriderne amaramente.

Per poter percorre i tortuosi e ripidi sentieri del pensiero che appartengono a questo eremita sfuggente, a questo apolide metafisico e politico (nato in Romania, Cioran si traferirà in Francia nel 1937, venendo rinnegato in patria, per rimanervi tutta la vita senza chiederne la cittadinanza), è indubbiamente utile leggere con pazienza questo volumetto, che raccoglie alcune sue interviste.

È in questo testo, non scritto ma “parlato”, che Cioran ci appare infine nei suoi tratti di uomo il cui corpo è piegato dal tempo – quel tempo dal quale la sua coscienza in realtà era caduta irrimediabilmente – e non più in quelli di asceta della modernità dal linguaggio corrosivo: egli non smussa e non rinuncia alla sua acuminata lucidità, ma si presenta in una veste inedita per i lettori dei suoi scritti. È infatti invecchiato, ormai stanco di scrivere e di «inveire contro Dio e contro [se] stesso», e si limita a rispondere e talvolta a incalzare con repliche non richieste gli intervistatori.

Le conversazioni vanno dal 1970 al 1994 (dai 59 anni dell’autore all’anno precedente la sua morte) e, proprio a fronte della forma dialogica, Cioran ci appare diverso, lontano da quell’«arte monologica» di nietzschiana memoria che caratterizza le sue opere propriamente intese. Nelle interviste egli ha modo di ripercorrere le grandi tematiche che sin dagli esordi ne hanno ossessionato il pensiero, come la morte, il destino, la rinuncia e la Storia, di perdersi in curiosi e interessantissimi aneddoti sulla sua vita e di commentare con caustiche analisi la società e gli eventi a lui contemporanei. È così che ne riscopriamo il passato più intimo, l’infanzia trascorsa tra le montagne della Transilvania agli albori della Prima Guerra Mondiale, la giovinezza lacerata dall’insonnia, gli incontri e gli scontri con amici e intellettuali a lui coevi.

Se è vero che ogni libro deve lasciare una ferita, queste conversazioni si presentano come il primo colpo di lama per il lettore che si appresta per la prima volta alla lettura di Cioran, mentre per chi è già avvezzo al suo pensiero asistematico risulterà una lente di ingrandimento su quella ferita vivente e unica che egli ha rappresentato nel panorama culturale del secolo scorso.

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Nato a Pavia nel 1995, Federico Fornasino cresce nella città di Vigevano, tra le distese di risaie della campagna lomellina e un centro urbano, una volta importante nucleo dell’industria calzaturiera italiana, ora media provincia sperduta nei sobborghi sempre più ampi di Milano. Frequenta il Liceo Classico e, una volta diplomato, si iscrive alla facoltà di Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, dove consegue la laurea triennale con una tesi sul filosofo francese Vladimir Jankélévitch. Trasferitosi a Milano, prosegue gli studi filosofici magistrali all’Università degli Studi di Milano. Appassionato lettore e instancabile studioso, si diletta in letture di classici della letteratura occidentale e nell’approfondire autori e tematiche filosofiche di matrice esistenziale.

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