Conversazione in Sicilia é caratterizzato da cinque blocchi narrativi che corrispondono ad altrettante tappe simboliche, tali perché il significato di questo libro dev’essere cercato nei suoi sottesi simbolici, appunto, e non solamente nell’interpretazione della vicenda secondo uno schema tradizionale.
Queste cinque tappe sono:
il viaggio di Silvestro verso la Sicilia;
la conversazione con la madre;
le visite di Silvestro con la madre per le iniezioni;
la conoscenza da vicino della palpitante Sicilia;
la conversazione con l’ombra di Liborio, fratello di Silvestro.
Nella prima parte l’autore espone il tema e la ragione dell’intera vicenda. Infatti, all’inizio ci imbattiamo in Silvestro, crucciato da una specie di angoscia che lo rende impotente dinnanzi ai segni della sofferenza che affligge l’umanità. Egli confessa il suo stato d’animo: credere il genere umano perduto e non avere febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avendo voglia di nulla, quando riceve una lettera dal padre lontano che lo invita ad andare a trovare la madre, sola in Sicilia. Nel leggere la lettera decide di intraprendere il viaggio, decisione che si potrebbe collegare al suo desiderio di fuga di fronte al male che perseguita il mondo. Un viaggio, quindi, espressione della ricerca di qualcosa che possa “curare” tale angoscia.
Durante questa corsa verso la Sicilia, Silvestro si imbatte in alcuni personaggi degni di nota: il siciliano che non riesce a vendere le sue arance, i due poliziotti Coi Baffi e Senza Baffi, il Gran Lombardo. Ogni personaggio ha la propria simbologia: il siciliano delle arance rappresenta il carattere del genere umano offeso, mentre Coi Baffi e Senza Baffi rappresentano l’offesa. Rispetto agli altri il Gran Lombardo è diverso, non solo fisicamente (era un siciliano, grande, un lombardo o un normanno forse di Nicosia, tipo anche lui carrettiere come quelli delle voci sul corridoio, ma autentico, aperto, e alto, e con gli occhi azzurri), ma anche moralmente. Uno dei viaggiatori gli domanda: Siete professore, voi?, e la sua risposta, le sue parole sono quasi rivelatrici: Credo che l’uomo sia maturo per altro, […] Non soltanto per non rubare, non uccidere, eccetera, e per essere un buon cittadino. Credo che sia maturo per altro, per nuovi, per altri doveri: è per questo che si sente, io credo, la mancanza di altri doveri, altre cose, da compiere. Cose da fare per la nostra coscienza in un senso nuovo.
Quindi Silvestro trova una prima definizione a quel “qualcosa” che cercava nelle parole del Gran Lombardo: l’uomo riscatterà le offese ricevute solo quando raggiungerà la maturità per “altri doveri”.
Nella seconda parte, il viaggio di Silvestro assume il carattere di itinerario simbolico. Dice un critico: E questo non è un viaggio poetico impressionistico, ma viaggio poetico morale: l’uomo non va nella sua terra a cercare pace o idillio, ma a recuperare il perduto senso eroico di sé.
Arrivato in Sicilia, Silvestro si accorge che il viaggio non si è esaurito negli incontri fatti in treno, ma sta per cominciarne un altro nella quarta dimensione della memoria:
…il nome del paese era scritto su un muro come sulle cartoline che io mandavo ogni anno a mia madre, e il resto, quella scalinata tra vecchie case, le montagne attorno, le macchie di neve sui tetti, era dinanzi ai miei occhi come d’un tratto ricordavo che era stato una volta o due nella mia infanzia… Questo era il più importante nell’essere là: non aver finito il mio viaggio; anzi forse averlo appena cominciato… Pareva che non vi fosse stato nulla, o solo un sogno, un intermezzo d’animo, tra l’essere a Siracusa e l’essere là, e che l’essere là fosse effetto della mia decisione, d’un movimento della mia memoria…
Nel ricordare, e quindi nel vivere una seconda volta, i fatti, gli oggetti diventano doppiamente reali e fanno ancor più parte di noi stessi. La memoria diventa realtà, e aiuta Silvestro a ritrovare il paesaggio, la casa, la madre: e io vidi, nell’odore dell’aringa, la sua faccia senza nulla di meno di quando era stata una faccia giovane, come io ora ricordavo che era stata, ogni cosa era questo, reale due volte”. E la madre, in questo processo di ricordo, perde, poco a poco, la dimensione materna per assumere quella di donna.
Concezione, la madre, confessa il proprio disprezzo per il marito che corteggia le altre donne, le chiama “api regine” e scrive per loro poesie, oltre a portarsele nel vallone; e per contrasto ammira svisceratamente il padre. Nel dialogo tra madre e figlio, le figure del padre e del marito finiscono per fondersi in una vivace altalena di immagini rievocative. Tuttavia Silvestro percepisce che la madre non può essere la donna arida che si fa credere e la pungola a rilevarsi, a confessare che anch’essa è stata qualche volta una sporca vacca, come le altre donne: Concezione confessa il suo episodio d’amore con un viandante che era pure lui un Gran Lombardo perché pensava ad altri doveri.
Inizia ora la terza parte. La madre si fa accompagnare dal figlio attraverso una piccola Sicilia ammonticchiata, di nespoli, e tegole, di buchi nella roccia, di terra nera, di capre, con musica di zampogne che si allontanava dietro a noi, e diventava nuvola o neve, in alto. In ogni casa che visitano si ripete il rituale delle iniezioni, dell’odore di chiuso e della malattia, delle parole scarne: una specie di litania sulle sofferenze dell’umanità.
L’itinerario del viaggio si sposta dalla memoria alla realtà di quel mondo offeso, e i due mondi, ricordo-realtà, diventano un tutt’uno. Silvestro si rende sempre più conto dell’offesa ogni volta che varca la porta di uno di quei tuguri bui e maleodoranti. Attraverso i ragionamenti del personaggio, Vittorini ci fa partecipi della sua filosofia sulla vita, sul male: Ma forse non ogni uomo è uomo; e non tutto il genere umano è genere umano. Questo è un dubbio che viene, nella pioggia, quando uno non ha le scarpe rotte, e non ha più nessuno in particolare che gli occupi il cuore, non più una vita sua particolare, nulla più di fatto e da fare, nulla neanche da temere, nulla più da perdere, e deve al di là di se stesso i massacri del mondo: Un uomo ride e un altro piange. Tutti e due sono uomini; anche quello che ride è stato malato; è malato; eppure ride perché l’altro piange. Egli può massacrare, perseguitare, e uno che , nella non speranza, lo vede ridere nei suoi giornali e manifesti di giornali, non va con lui che ride semmai piange, nella quiete, con l’altro che piange. Non ogni uomo è uomo, allora. Uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato. Uccidete un uomo: egli sarà più uomo. E così è più uomo un malato, affamato; è più genere umano il genere umano dei morti di fame.
Sembra quasi che Vittorini, partendo da un determinato fatto storico, il fascismo, ne abbia voluto dare un ritratto simbolico, piuttosto che una descrizione realistica.
Concezione conduce il figlio attraverso i meandri del sesso. Dapprima lo costringe ad assistere al “rito” dell’iniezione a due donne per potergli mostrare come è fatta una donna e, allo stesso tempo, continua a chiedergli: quando è che hai visto la prima volta come è fatta una donna? Il figlio comincia a rivivere, ancora una volta, i propri ricordi e si rifiuta di accompagnare ancora la madre che vorrebbe fargli vedere la donna più bella, la signorina Elvira.
Nella quarta parte Silvestro incontra altri personaggi: l’arrotino Calogero, l’uomo Ezechiele, il panniere Porfirio, lo gnomo Colombo. Ognuno di loro gli propone la propria interpretazione degli “altri doveri” per alleviare i mali del mondo. Per Calogero è una rivolta individuale che sfoga arrotando il temperino di Silvestro: Fa piacere arrotare una vera lama: Voi potete lanciarla ed è dardo, potete impugnarla ed è pugnale. Ah, se tutti avessero sempre una lama!
Per Ezechiele solamente il soffrire degli altri può alleviare il mondo: Il mondo è grande e bello ma è molto offeso. Tutti soffrono per se stessi, ma non soffrono per il mondo che è offeso e così il mondo continua ad essere offeso. Per Porfirio invece solo l’acqua viva può lavare le offese del mondo e dissetare l’uman genere offeso. E per Colombo acqua viva è il vino che ha il potere di far dimenticare le sofferenze e le offese. Ma Silvestro, al quarto boccale di vino, si rifiuta di continuare a bere perché l’alcool può far dimenticare le sofferenze, ma non ha il potere di annullarle del tutto. Generazioni e generazioni avevano cercato nel vino la nudità, e una generazione beveva dall’altra, dalla nudità di squallido vino delle altre passate, e da tutto il dolore versato.
Silvestro abbandona la cantina e i suoi compagni occasionali perché non era in questo che avrei voluto credere, in questo non c’era altro mondo.
Nella quinta e ultima parte Silvestro fa l’incontro decisivo della sua vita: il fratello Liborio, morto da poco in guerra. Dopo aver conosciuto l’ingiustizia, la miseria, la malattia, Silvestro incontra la morte. Il suo pensiero torna al passato, al ricordo delle recite del padre e agli spettatori che erano affascinati soltanto per virtù di vino e non per effettiva partecipazione. Di fronte a questa indifferenza, Silvestro esplode in: Oh, mondo offeso! Mondo offeso!. La risposta che gli giunge è un enigmatico Ehm.
La conversazione diviene più serrata, e Silvestro si rende conto di parlare col fratello minore: Era notte sulla Sicilia e la calma terra: l’offeso mondo era coperto di oscurità, gli uomini avevano lumi accanto chiusi con loro nelle stanze, e i morti, tutti gli uccisi, si erano alzati a sedere nelle tombe, meditavano. Io pensai, e la grande notte fu in me notte su notte. Quei lumi in basso, in alto, e quel freddo nell’oscurità, quel ghiaccio di stella nel cielo, non erano una notte sola, erano infinite; e io pensai alle notti di mio nonno, le notti di mio padre, e le notti di Noè, le notti dell’uomo ignudo nel vino e inerme, umiliato, meno uomo di fanciullo o di un morto.
Il romanzo termina con l’immagine di Silvestro accanto a una donna in bronzo offerta ai morti come estrema consolazione. Si chiude così un viaggio durato tre giorni e le relative notti.
Per gentile concessione di Sognaparole Magazine