Pietro Gerber, noto come “l’addormentatore di bambini”, è uno psicologo infantile che utilizza l’ipnosi per trattare i traumi infantili. Quando incontra Matias, un bambino perseguitato in sogno da una donna chiamata “la signora silenziosa”, Gerber si trova coinvolto in una vicenda che mette in discussione la sua stessa sanità mentale. Tra enigmi onirici e segreti del passato, il confine tra realtà e incubo si dissolve.
La casa dei silenzi è l’ennesimo esempio di thriller che promette profondità psicologica e atmosfere inquietanti, ma finisce per sprofondare in un mare di prevedibilità e abusati cliché. Donato Carrisi cede alla tentazione di replicare formule già esplorate nei suoi romanzi precedenti, con risultati decisamente deludenti.
La trama procede su binari già visti: il protagonista tormentato, il bambino enigmatico, l’elemento soprannaturale, che si rivela meno innovativo di quanto vorrebbe apparire. L’intera vicenda si trascina tra dialoghi artificiosi e descrizioni che sembrano prese di peso da un manuale di sceneggiatura per thriller televisivi di medio livello. Persino i colpi di scena risultano telefonati e privi di reale impatto emotivo.
Uno dei difetti principali del romanzo risiede nella caratterizzazione piatta dei personaggi. Pietro Gerber, che dovrebbe incarnare il cuore della storia, appare più come un aggregato di tratti stereotipati del “genio tormentato” che come una figura realmente tridimensionale. Matias, il bambino al centro della vicenda, è ridotto a poco più di un espediente narrativo, mentre la “signora silenziosa”, che avrebbe potuto rappresentare un’intrigante allegoria, finisce per essere una figura evanescente senza vero impatto narrativo.
Anche lo stile è appesantito da una prosa che si sforza inutilmente di creare tensione attraverso descrizioni ridondanti e un abuso di similitudini banali. Perfino l’ambientazione, che avrebbe potuto contribuire a creare un’atmosfera suggestiva, rimane sullo sfondo, senza mai diventare un elemento penetrante della storia.
La casa dei silenzi è un romanzo che tenta di affascinare con un intreccio oscuro e psicologico, ma che si perde in una mediocrità narrativa che lo rende prevedibile e, alla fine, del tutto dimenticabile. Un libro che fatica a lasciare un segno e che potrebbe facilmente confondersi nella lunga lista di thriller senz’anima che affollano le librerie sotto Natale. Però se volete male a qualcuno lo potete regalare lo stesso.