Knut Hamsun – Fame

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Fame è il romanzo con il quale Knut Hamsun – che sarà insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1920 – riesce a giungere alla fama dopo una serie di scritti passati in sordina (e firmati con il vero nome, Knud Pedersen).
Sulla soglia del Novecento, prefigurando il realismo drammatico di certa prosa novecentesca, lo scrittore norvegese narra, con stile incalzante e tagliente, le vuote peregrinazioni di un aspirante scrittore sul lastrico, a zonzo per la città di Christiania (l’odierna Oslo), in cerca di un impiego che gli permetta di placare anche solo per poco l’assillante malessere fisico – che si fa a mano a mano anche mentale – che lo assilla: la fame.

Nella figura del protagonista si può intravedere facilmente l’autore stesso, che ci conduce nella disgregazione di una mente creativa, facendoci ondeggiare tra la realtà e le invenzioni del giovane scrittore. Il freddo autunno nordico si tramuta in cupo e nebbioso inverno, al vagabondaggio diurno si sostituisce quello notturno e, pagina dopo pagina, la condizione fisica e mentale del narratore si fa sempre più drastica, in un crescendo di situazioni cupe e angoscianti. Il racconto si svolge per lo più tramite un monologo interiore serrato, in cui i repentini cambi umorali del protagonista si susseguono senza logica apparente: magistrale è l’esposizione formale del suo pensiero, tanto folle quanto creativo. La creatività, infatti, connota i suoi febbricitanti deliri: invenzioni di nomi (Ylajali), di vocaboli, di identità (il protagonista, di cui non sappiamo il vero nome, presenta se stesso ogni volta in maniera differente) e di individui (Happolati, l’affittuario e Kierulf, il venditore di pellame); invenzioni che sviluppano un mondo immaginario in cui il giovane vagabondo coinvolge i personaggi che incontra, quasi che i pensieri, fluttuanti e liberi, non riescano a restare ancorati alla realtà in quanto mancanti di un contrappeso – il cibo – in grado di mantenerli a terra.
Soltanto davanti alla giovane di cui si invaghisce il narratore si apre con sincerità, presentandosi per quello che è. La speranza di essere accettato si scontra tuttavia con le grida della ragazza, che suonano come una condanna: «Tu sei pazzo!».

L’abiezione, in cui il protagonista si lascia andare non è tanto esplicitamente morale, quanto spirituale. Ne sono un sublime esempio i passaggi in cui egli si riduce ad animale, chiedendo a un macellaio un osso spolpato da rosicchiare, per finire a bestemmiare e insultare Dio stesso – quasi un Giobbe senza fede – per la propria sorte, che riportano alla mente un certo «sottosuolo» dostoevskiano. Persino davanti alle scene grottesche e pietose che gli si presentano presso i suoi ultimi ospiti, il giovane si mostra mosso in ogni suo gesto dall’unico, egoistico desiderio di trovare un modo, il suo modo, di combattere la fame tramite la scrittura. Non vi è infatti una vera relazione tra il protagonista e la società che lo circonda: la città, presentata come caotica, e i suoi cittadini, dai tratti moralmente ambigui, sono soltanto lo sfondo in cui le vicende si snodano, senza che il giovane accetti il compromesso di un impegno e di un impiego stabile pur di placare la fame.
Il protagonista ricerca, spesso ingannando se stesso, l’aderenza a un ideale di bontà e onestà. La sua incapacità di cogliere le opportunità che gli provengono dagli atti caritatevoli di altri personaggi, e la sua superba ostinazione a non chiedere aiuto, lo conducono ripetutamente sulle soglie del delirio; non essendo in grado di proiettarsi in un futuro, si giova, non fosse per la fame, della leggerezza che gli consente la sua indigenza.

Fame e follia si intrecciano a un contraddittorio attaccamento alla vita. L’impossibilità di una pianificazione di riscatto, se non tramite gesti di benevolenza tanto effimeri quanto estemporanei e insinceri, esprime quanto libertà e miseria possano coincidere per un individuo che si pone come esempio perfetto di uomo ai margini del consorzio umano.
Imprescindibile capolavoro nordico.

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Nato a Pavia nel 1995, Federico Fornasino cresce nella città di Vigevano, tra le distese di risaie della campagna lomellina e un centro urbano, una volta importante nucleo dell’industria calzaturiera italiana, ora media provincia sperduta nei sobborghi sempre più ampi di Milano. Frequenta il Liceo Classico e, una volta diplomato, si iscrive alla facoltà di Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, dove consegue la laurea triennale con una tesi sul filosofo francese Vladimir Jankélévitch. Trasferitosi a Milano, prosegue gli studi filosofici magistrali all’Università degli Studi di Milano. Appassionato lettore e instancabile studioso, si diletta in letture di classici della letteratura occidentale e nell’approfondire autori e tematiche filosofiche di matrice esistenziale.

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