Silvia Accorrà – Marina

0
1895

Hanno gli occhi di pietra. Posso vedere con quanta fatica i loro sguardi cambiano direzione. C’è stato un lampo sul mare: non uno di loro ha lanciato un’occhiata all’evento: alcuni hanno voltato la testa, ma la maggior parte ha fatto finta di niente. Camminano, si muovono, corrono perfino – se ci sono dei bambini è una girandola di vivacità e colore. Ma non girano gli occhi. Il drago di cemento deve averli soffocati dall’interno.

La passeggiata è affollata, specie prima dell’ora di cena, come se tutti volessero dare l’addio alla giornata in spiaggia. Stranamente, nessuno mi disturba mentre riposo appollaiata sulla bitta. Indossano i loro abiti serali, confrontando le abbronzature. C’è odore di crema doposole e profumi pieni di promesse. Ho sentito un uomo dire alla moglie, tenendo per mano una bambina di sale, che avrebbe dovuto farsi la barba stasera, perché poi sarebbe andato a bere qualcosa con gli amici. La bambina aveva capito tutto.

Alle spalle del paese, sulla collinetta dove c’è la chiesa parrocchiale (aperta solo di domenica), ho visto un parco fatto di prato e pochi alberi. Molti di noi sostano intorno al campanile o nei dintorni, e possiamo vedere il movimento brulicante che c’è solo in certe ore.

Gli esseri umani talvolta hanno dei ritmi misteriosi. La mattina presto la battigia deserta si anima per un’ora al ritorno dei pescatori, in qualsiasi stagione; e poi tutta l’agitazione si condensa sotto le volte arancioni di una specie di portico fronte mare – ovviamente – dove delle ceste piene di ghiaccio olezzante non rimangono disattese a lungo.

E poi il brusio senza sosta della vita di mare, i colori soffocati dal calore, i ragazzi e gli anziani, le ovvie famiglie. E’ come un rumore bianco continuo, con le punteggiature colorate degli ombrelloni e dei costumi da bagno. Ricordo bene com’era. Ricordo l’odore della sabbia, il chiacchiericcio di una radiolina non troppo lontana dall’ombrellone dei miei genitori.

Al parco ci sono un cigno bianco, un giovane cigno nero e qualche germano reale. Sono gli uccelli del sogno. Svolazzano per qualche metro e poi ricascano nell’acqua, lo stagno è poco più di una pozza. Dalla mia prospettiva, sembrano delle mosche senza pigmento incapaci di prendere il volo. Fanno molto rumore, e i bambini li irritano.

I bambini irritano anche le api. Sul lungomare è ridicolo vedere come qualche ragazzino si metta improvvisamente a correre senza apparente motivo, solo perché una vespa o un’ape è arrivata rumorosamente nei dintorni.

Qualche bancarella storica, con i suoi trofei di ragni enormi imbalsamati, gorgonie secche e stelle di mare irrigidite, è la preda e sede ideale delle api, che probabilmente hanno un nido su una palma lì vicino. E anche quando qualche turista è interessato agli oggetti esposti, lo mandano via con il loro ronzio insistente. La proprietaria obesa della bancarella lo deve sapere benissimo, ma non ha mai accennato a spostarsi di un millimetro. Osservo tutto questo dalla ringhiera della passeggiata.

Anche quando il movimento è repentino, come in questi casi, i loro occhi non si muovono, impastati di cemento.

Il vento si alza verso sera, sempre. Mentre questa gente scende per l’aperitivo indossando abiti che mai indosserebbero in città, il cielo striato diventa rossastro e liquido. L’aria viene dal mare, e porta l’odore di salmastro mescolato a quello del cibo grigliato. Trovo sempre qualcosa per me nelle ceste fuori dai ristoranti.

Posso volare, posso vedere ogni cosa, come tutti i gabbiani. Ho compassione per questa gente, che non sa come liberarsi di sé. Ho compassione per me stessa, che non so liberarmi di loro e semplicemente volare via. Quella pietra, quello sguardo, mi indeboliscono senza fine. E allora ricordo come sono stata, e ricordo il perché della mia scelta.

SHARE
Articolo precedenteFahrenheit 451
Articolo successivoCataldo Russo – Cortigiani, giullari e mammasantissima
Silvia Accorrà è poeta, narratrice, fotografa. Ha pubblicato tre sillogi di poesia, "Mezzoforte" (Cultura Duemila, 1991), "Pesce di terra" (Lietocolle, 1995), "Città non nostre" (Libreria Croce, 2007) e due raccolte di racconti, "Rosso nucleare" (Atì 2008) ed "Entropie" (Calibano, 2023). Ha pubblicato una trilogia di romanzi di ambientazione giapponese, "Tokyo Love" (Damiani, 2014), "Hikari" (Prospero, 2017) e "Pareti sottili" (Prospero, 2019). Ha inoltre partecipato ad alcune antologie poetiche e narrative. Ha avuto una personale di fotografia nel 2006, una nel 2010 e una nel 2018. Lavora principalmente come traduttrice, ma anche come insegnante di lingua. Vive a Milano dalla nascita (1969), ma il suo cuore è altrove.

Lascia un commento

Scrivi un commento
Per favore inserisci qui il tuo nome

inserisci CAPTCHA *