Heiko H. Caimi – Fino all’ultimo pupazzo di neve

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Quel dicembre era talmente gelido che i brividi avevano messo le catene da neve. Il termometro segnava numeri così bassi che anche i pinguini, di passaggio, avevano fatto fagotto per mete più calde, tipo, che so, il Polo Sud. I termosifoni gemevano, le finestre si barricavano dietro strati di condensa. E i pupazzi di neve, solitamente tranquilli e silenziosi nei giardini, avevano iniziato a muoversi.
Il primo avvistamento fu in via Garibaldi. Il signor Cortesi, di ritorno dal lavoro, ne trovò uno davanti alla porta di casa, con una sciarpa rossa, un naso a carota e un sorriso congelato che sembrava più minaccioso che amichevole.
«Posso entrare?» chiese il pupazzo, con una voce che ricordava il vento tra gli infissi malchiusi.
Cortesi, che prima di rincasare aveva bevuto solo un bicchiere di vino, pensò fosse uno scherzo del freddo. «Scusi?».
«Permesso di soggiorno. In casa. Qui fuori ci si squaglia. O ci si indurisce troppo. Non è vita, insomma».
Cortesi lo guardò male e, senza degnarlo di una risposta, entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle.
Ma non era finita. La mattina dopo, tutta la città era piena di pupazzi in protesta. Con cartelli fatti di rametti e pezzi di cartone, reclamavano “Un tetto per il ghiaccio”, “Casa anche per chi è di neve!” e “Non fateci sciogliere nel degrado”.
La notizia fece il giro del paese. In poco tempo, la cittadina si riempì di pupazzi vagabondi che bussavano alle porte, lasciavano bigliettini sotto i tergicristalli, o si accampavano davanti ai portoni, chiedendo “ospitalità”.
Le autorità, impreparate, tentarono di mantenere l’ordine. Ma non sapevano come gestire la situazione. Si trattava di rifugiati climatici? Di creature magiche? Nessuna norma copriva “pupazzi di neve senzienti in cerca di tetto”.
L’Ufficio Permessi di Soggiorno, preso d’assalto, andò nel panico. Gli impiegati non sapevano che moduli distribuire. Per i pupazzi di neve non c’erano un codice fiscale, un documento d’identità, nemmeno un codice colore Pantone per distinguerli tra loro e identificarli.
«Ma non possiamo farli entrare in casa!» sbottò un assessore durante una riunione straordinaria. «Già i termosifoni vanno a mille, e ora dovremmo pure ospitare… cubetti di ghiaccio ambulanti?».
Nel frattempo, le proteste degeneravano. I pupazzi più arrabbiati formarono picchetti davanti ai supermercati, dove si accaparravano i sacchi di sale per autodifesa. Altri facevano irruzione nelle case, sciogliendosi lentamente sui tappeti persiani o infilando le carote nei congelatori per “solidarietà alimentare”.
Poi accadde l’irreparabile.
Il giorno della Vigilia qualcuno, con la lungimiranza tipica degli esseri umani, iniziò a diffondere una teoria: «È tutta colpa di Babbo Natale!».
«Cosa c’entra Babbo Natale?» chiese il sindaco, sorpreso.
«È lui che porta la neve! La invita qui ogni anno! E adesso guarda cosa succede!» gridò il macellaio, seguito da un coro di approvazione.
«Tolleranza zero! Chiudiamo gli aeroporti agli invasori svedesi!» gridò un altro.
«Ma le renne non atterrano negli aeroporti» obiettò una signora.
«Fa lo stesso» concluse quello, serrando le braccia al petto.
«Non siamo contro i pupazzi di neve», precisò un altro cittadino, «ma aiutiamoli a casa loro!». Un’ovazione accolse quest’ultima uscita.
Così, quando quella notte Babbo Natale arrivò con la slitta carica di doni, trovò ad attenderlo una folla inferocita. I cittadini lo accusarono di essere il mandante occulto della “crisi dei pupazzi”.
«Questa storia dei regali è solo una copertura!» gridò qualcuno.
«Dite a Babbo Natale che li aiuti a casa sua!» urlò una voce nel tumulto, e il coro si fece unanime.
Babbo Natale, sbigottito, tentò di spiegarsi. «Io non c’entro nulla! Io porto solo gioia, doni, spirito natalizio!».
Ma il sindaco, ormai convinto alleato dei suoi elettori, senza i quali sarebbe tornato a fare il manutentore, gli puntò il dito contro: «Lei qui non entra! Se proprio tiene tanto ai pupazzi, li accolga al Polo Nord!».
Le renne, terrorizzate, fecero dietrofront. Babbo Natale non aveva mai incontrato una simile ostilità.
Con la sua partenza, però, la cittadina si trovò in un dilemma. I pupazzi erano ancora lì, fermi nei loro cumuli di neve, sempre più insistenti. Bussavano, supplicavano, congelavano lentamente sotto la luna gelida.
Alla fine, furono i bambini a risolvere tutto. Un gruppo di loro decise di portare i pupazzi dentro casa. «Sono freddi, ma sono gentili» dissero. I genitori glielo proibirono tassativamente, ma e dai e dai, i bambini, con la loro inesorabile insistenza, riuscirono a convincerli. E poi si sa, a Natale anche i pupazzofobi sono più buoni.
Così un po’ per pietà, un po’ per evitare nuove proteste, un po’ per i loro figli accolsero quei poveri esseri di neve. E così le cucine e i soggiorni si riempirono di pupazzi seduti accanto ai termosifoni, con una tazza di tè caldo (che non bevevano mai, ma che apprezzavano per il gesto), che alla fine si sciolsero dalla commozione.
Babbo Natale non tornò più in quella città, deluso e amareggiato. Ma una notte, dall’angolo più remoto del Polo Nord, arrivò un biglietto: «Grazie ai bambini per non aver dimenticato cosa significa il Natale. PS: Occhio al parquet».

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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