Lei indossa una camicetta immacolata, il lungo collo nascosto da un foulard colorato: verde naturale e un caldo blu spruzzato di rosso. Molto francese.
È una giovane donna dai lineamenti quasi belli. Le maniche, arrotolate a scoprire i polsi, lasciano in vista un orologio dal quadrante avorio, grande, con almeno il doppio dei suoi anni: un modello maschile. Porta un solitario all’anulare destro.
È domenica, una mattina di festa.
Le sue unghie mandano piccoli bagliori metallici mentre le mani, con sapienza, passano i prodotti allo scanner, prima di imbustare gli alimenti separandoli dal resto della spesa.
Io mi accodo qualche cassa più in là continuando a osservarla e dimentico di sbirciare la mia cassiera. Mi rendo conto quasi subito di aver commesso uno sbaglio e ora, qui inchiodato, continuo a fissare la giovane principessa.
La signora davanti a me sbuffa cercando approvazione, prova ad attaccar bottone ma ha sbagliato soggetto. La ignoro ma non cambierò cassa sommando errore ad errore. Mai spostarsi da una coda all’altra: al casello, al semaforo, men che meno al supermercato. La fila che mi precede però sembra scolpita nel basalto.
Immobile.
La cassiera è rumorosa, svelta di lingua ma con movimenti plastici da replay televisivo.
L’altra liquida i clienti con sorriso professionale e una rapidità senza pari. Regina, come recita il talloncino alla tasca, muove appena la testa senza mai abbassare il mento, mentre la sua fila è sempre in calmo, regolare movimento. Una regina a cui nessuno rivolge la parola, bella e austera come nelle fiabe.
Mi ricorda il profilo incoronato sui francobolli inglesi collezionati da bambino.
Occhi che guardano oltre la gente, oltre gli scaffali, oltre quel trono a cui si presentano postulanti dalle vite più disparate. Un sorriso per tutti, privilegi per nessuno. Non importa se il cliente veste in acrilico altamente infiammabile o un completo impeccabile in fresco di lana. Il maleducato e il timido ricevono lo stesso, unico, sorriso.
Il trucco, appena accennato, rende il suo viso delicato, a dispetto della luce fredda che cade sovrabbondante dal soffitto.
La nobiltà dei modi e la determinazione nei movimenti si ribellano alla sedia a cui sembra inchiodata. Questo improbabile palcoscenico non le si addice, nonostante ciò regge la parte con fierezza. Si capisce dallo sguardo altero che non rimarrà a invecchiare in un teatrino di borgata. Resiste eroica al limitare del nastro nero che, inarrestabile, le vomita addosso tonnellate di plastica.
Non resterà a ingiallire una stagione dopo l’altra, lottando per un turno feriale, combattendo la battaglia già persa col gonfiore alle caviglie. Appena superato il momento critico si alzerà e tornerà a quel mondo dal quale è stata strappata.
Quando il marito ritroverà un’occupazione, lei potrà finalmente santificare le feste. Una domenica normale, fatta di piccoli gesti, relazioni e affetti. Nessuna offerta speciale a zero interessi. Via da questo acquario vissuto dall’interno, esistenza opaca dai colori sgargianti. Fuggirà da quest’isola circondata da barriere antitaccheggio, porte scorrevoli e artificiali cortesie.
«Ha la carta fedeltà?». La voce della cassiera mi distoglie dalle mie considerazioni.
La fantasia corre veloce, trascinandomi dentro la vita degli altri. A volte dilata fino a immaginare sentimenti e stati d’animo delle persone che osservo.
Oggi però la fantasia non c’entra. La realtà è che conosco il marito di Regina.
Lo conosco bene perché quell’uomo sono io.