Lei parlava col cane.
– Che c’è di strano? – mi dirai. – Tanti parlano con gli animali domestici: cani, gatti, cardellini… È perché sono considerati di famiglia, qualcuno dice “persone” di famiglia, addirittura.
Fatto sta che il cane le rispondeva, o meglio, era lei che si rispondeva con la voce del cane – una voce completamente diversa dalla sua, che passava da toni di estrema dolcezza ad altri acuti e quasi isterici quando litigavano. E litigavano spesso, come due vecchie zitelle. Sì, perché il cane era femmina, anche se lei continuava a chiamarla “il cane”, per non cedere alle fissazioni linguistiche di certe femministe che volevano usare a tutti costi il femminile, anche quando non esisteva nella grammatica italiana. Certo non poteva dire “la cagna”, men che meno “la cana”, come pretendevano, appunto, le femministe. A volte, parlando di lei, diceva “la cagnolina”, anche se era una cagnolona, grande e grossa, di una razza che faceva paura, quella dei rottweiler, perché gli uomini l’avevano classificata come “pericolosa” malgrado si trattasse di cani dolcissimi… Ma non divaghiamo.
In realtà tutto era cominciato come un gioco, con il nipotino che le diceva: – Dai, nonna, fai la voce di Maya! – e lei faceva la voce di Maya – Falla arrabbiata! – e lei faceva la voce arrabbiata – Adesso dolce – e lei faceva la voce dolce. E ora che il nipotino non veniva più a trovarla perché stava lontano, le era rimasta l’abitudine di parlare col cane, cioè di fare la voce del cane, ma questo l’avrete già capito.
Le cose si complicarono quando arrivò il gatto. Era una zuffa continua: Maya non lo sopportava, non aveva mai sopportato i gatti, aveva cercato di sbranarli ogni volta che li incontrava per strada e adesso… Si trovava per casa quell’essere ripugnante che guardava ambedue con aria di superiorità e disprezzo, le ignorava, non parlava quasi mai con loro se non per lamentarsi e criticare tutto.
– Dove sono i croccantini, umana di merda? – Perché era un gatto di strada, non conosceva le buone maniere e il linguaggio forbito di Maya. Il povero cane era stato cacciato dal suo divano, sul quale si era piazzato il lurido gattaccio fin dal primo giorno, distruggendolo per affilarsi le unghie, e guai a rimproverarlo: – Lasciami in pace, umana di merda, e tu, ammasso di pulci, di che t’impicci? Vaffanculo.
– Non sapevo che avessi preso in casa un gatto… – C’era un leggero tono di ironia in quella frase. – E quindi, a quanto pare, ti parla pure lui…
– Certo che parla pure lui, che c’è di strano? Anche se non è un tipo molto loquace.
– Passi che parli col cane, passi che il cane ti risponda adattando la voce ai suoi stati d’animo, ma il gatto non è reale: non ce l’hai un gatto, non hai mai avuto un gatto. Come fa a parlare con te?
– Ma di cosa ti meravigli? Proprio tu vieni a farmi questi discorsi? Neanche tu sei reale, eppure parlo con te.
Un racconto affascinante e originale che esplora con delicatezza e umorismo le dinamiche tra umani e animali, reali e immaginari. La narrazione cattura l’attenzione con dialoghi vivaci e personaggi ben caratterizzati. Complimenti!