Emmanuel Carrère – Un romanzo russo

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Una vita da romanzo

Non c’è che dire, un libro di Emmanuel Carrère fila sempre liscio come l’olio, anche quando, come in questo caso, risulta più frammentario del solito. I molteplici piani narrativi, infatti, vanno a formare un puzzle rigorosamente autobiografico che viene composto con una buona dose di masochismo autolesionista. Sarà perché i quaderni di appunti degli scrittori di successo sono come il maiale di cui non si butta via nulla?
Una cosa è certa: Carrère, in amore (e non solo!), non teme di fare la figura del fesso mettendosi letteralmente a nudo. Nulla è taciuto del doloroso (e a tratti tragicomico) svolgersi degli eventi che portano alla fine della love story in questione, in una sorta di autocompiaciuta pornografia dei sentimenti. Resta solo il mistero di come la donna amata, Sophie, abbia potuto autorizzare la diffusione di questa confessione, così intima e unilaterale. Ma tant’è.

In parallelo ci sono molti viaggi in Russia per realizzare un documentario, progetto che costituisce il pretesto per scandagliare il legame profondo dell’autore con quel grande Paese, da cui proviene la famiglia della madre. Tutto ciò dà luogo a una quantità di incontri con personaggi, spesso equivoci, che sembrano in effetti usciti da un romanzo russo, a immancabili bevute e a disavventure varie. Particolarmente toccante è la rievocazione del nonno materno, figura irrisolta e tormentata, così come l’episodio che dà il via al racconto: la vicenda, cioè, del prigioniero ungherese dimenticato in un manicomio per cinquant’anni.

Come nel romanzo russo, la fatalità, lo struggimento, la farsa e la tragedia si toccano e si compenetrano in modo inscindibile, tratteggiando un’umanità sì dolente, ma che non si prende mai del tutto sul serio.
Chi conosce e apprezza l’autore troverà conferma della propria buona opinione in questa lettura che tuttavia, forse, non è la migliore per chi volesse accostarsi per la prima volta alla sua produzione. In ogni caso, Carrère resta un vero incantatore di serpenti, e può essere piacevole fare la parte del cobra per qualche ora.

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Giorgia Boragini è nata a Bologna qualche decennio fa. Vive e lavora in quel di Brescia. Laureata in Giurisprudenza per necessità, accanita lettrice per passione, ama osservare il mondo per trarne talvolta qualche storia. Frequenta con impegno discontinuo laboratori di scrittura creativa. Il suo primo romanzo, "Il copione del delitto" (Liberedizioni, 2013), si è aggiudicato, da inedito, il secondo posto al concorso Manerba in Giallo, edizione 2011. Nel 2017 è stata pubblicata la sua raccolta di racconti "Tipi da Bar" (Prospero Editore). Con "Mai rovinare il pranzo di Ferragosto!" (Liberedizioni, 2019) è tornata a cimentarsi con il genere giallo.

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