Artur Conan Doyle é stato più sfortunato di alcuni dei suoi successori, come Georges Simenon o Andrea Camilleri: anche questi ultimi hanno creato personaggi a forti tinte gialle ma, a differenza del baronetto inglese, non ne sono rimasti schiacciati al punto da non veder considerato il resto della loro produzione. Infatti, per i lettori esistono “i Simenon”, non solo “i Maigret”; o “i Camilleri” non esclusivamente “i Montalbano”; però esistono “gli Shelock Holmes”, non “i conan Doyle” (unica eccezione, ma di nicchia, Il mondo perduto. scritto nel 1912).
La tragedia del Korosko ne è un esempio: pubblicato nel 1898, è quasi passato inosservato (con lo zampino, ancora una volta, del detective di Baker Street, della cui serie esce, quasi nello stesso periodo, Il mastino dei Baskerville) ed è un peccato. Non perché sia uno di quei romanzi che lasciano il segno, ma perché è un buon esempio di visione geopolitica inglese, e non solo, del periodo.
La trama si basa su un fatto di cronaca: un gruppo di turisti in gita sul Nilo a bordo della nave Korosko viene catturato da un manipolo di predoni dervisci a scopo di ricatto (in quel periodo l’ombra di Sua Maestà arrivava sino al sud dell’Egitto, e fatti simili erano frequenti). Tra i passeggeri ci sono un francese petulante, nella persona di monsieur Fardet, sciocco detrattore della politica coloniale inglese, alla quale attribuisce l’invenzione di nemici per avere il controllo politico e militare del Nordafrica, ovviamente subito smentito e a maggior ragione reso ridicolo dagli eventi; una ragazza americana sempliciotta, Sadie Adams, che sorride quando va tutto bene e trema di paura chiedendo continuamente protezione in caso di difficoltà, cioè fin quasi dall’inizio del romanzo. L’Inghilterra, invece, ha ben due degni rappresentanti: James Stephen, ragazzo poco pratico della vita, che riscopre il suo innato senso del dovere e la vocazione alla protezione dei più deboli proprio nella difficoltà; e il colonnello Cochrane, militare in pensione, forse un po’ troppo vanesio con il busto e la brillantina, ma che non lesina coraggio e onore in caso di bisogno. Dall’altra parte ci sono i cattivi predoni, che, non avendo il senso della gratitudine nei confronti dei loro “salvatori” inglesi, sono ingiustificatamente malvagi, fanatici religiosi nonché voltafaccia alla prima occasione. I “nostri” sono disposti ad usare le armi pur di portare la cosiddetta civiltà a una cultura che non solo non ne ha bisogno, avendone una florida per conto proprio, ma che si oppone fermamente al “buon samaritano”.
Forse al tempo La tragedia del Korosko non avrà riscosso il meritato successo, ma varrebbe la pena di leggerlo oggi per la forza della sua attualità: la retorica usata nel romanzo non ha niente da invidiare a quella attuale, dove l’uso di luoghi comuni come il fanatismo religioso musulmano e l’innato “dovere” di esportare democrazia dell’Occidente, sono armi usate per giustificare controllo e potere.