Nel mondo nuovo tutti sono felici. E come potrebbe essere diversamente, quando si può desiderare solo ciò che si può avere?
Benvenuti nella società perfetta in cui la pace è perpetua e la storia cancellata, benvenuti in un mondo pulito, sterile, asettico in cui il corpo è mantenuto sempre giovane e attraente, perché la vecchiaia è qualcosa di ripugnante e umiliante.
Quello che descrive Huxley è un mondo fatto di uomini e donne rigidamente divisi in caste, dominati dal culto fordiano e da un razionalismo produttivistico. Non esistono relazioni o sentimenti: tutti appartengono a tutti, il sesso è qualcosa di naturale, incoraggiato e praticato fin dalla tenera età. I bambini, però, non possono avere legami affettivi con i genitori e per questo vengono creati in laboratorio, mentre la maternità è un ricordo deplorevole e osceno, che crea imbarazzo al solo nominarlo. Tutto ciò che è naturale, corporeo, è, infatti, sostituito dall’artificio tecnico, dalla perfezione creata dall’uomo.
Nel mondo artefatto di Huxley non esistono il dolore, la passione e l’amore, ma esiste la droga, il soma, che annienta qualsiasi emozione e trasporta l’uomo in un nirvana perpetuo e immutabile.
I personaggi sono come tanti soldatini addestrati: uomini e donne che non svilupperanno mai il pensiero critico, poiché vittime di un condizionamento ipnotico continuo, di tipo pavloviano, che li rende tutti perfettamente plasmati, abituati fin dall’infanzia a svolgere i propri doveri a seconda della casta di appartenenza. Ma, soprattutto, sono felici, anzi, grati di appartenere a questo sistema stratificato e rigido, come è loro suggerito nelle milioni di ripetizioni cui sono sottoposti nel sonno.
È questo il mondo perfetto? Il mondo cui il progresso tecnologico condurrà inevitabilmente? Non possiamo che porci queste domande mentre leggiamo questo romanzo, forse con un certo sgomento nel constatare che è stato scritto nel 1932, quando il progresso tecnologico contemporaneo non poteva essere altro che una fantasia inconcepibile.
Il mondo nuovo di Huxley ci espone a una realtà preoccupante, induce a riflettere su noi stessi e sui valori contemporanei, che sembrano tendere sempre più a una perfezione apparente e illusoria. Anche la nostra società oggi, più di ottanta anni dopo, sviluppa il culto edonistico del bello, del divertimento senza fine nel tentativo di oscurare, se non di eliminare, le preoccupazioni e le disarmonie sociali. Mentre leggiamo entriamo in un universo paradossale solo in apparenza: siamo davvero così lontani da questo mondo? Ma, soprattutto, potremmo mai desiderarlo?
Il lettore è avvertito: si trova di fornte a un libro provocatorio, complesso e a tratti cinico, che lascia sicuramente l’amaro in bocca e un grande senso di sconfitta finale. È tuttavia una di quelle opere che è necessario leggere, poiché ci costringe a fare i conti con noi stessi e con ciò che ci circonda, impartendoci, infine, una grande lezione: anche l’infelicità è un diritto e, in quanto tale, non possiamo rischiare di farcela portare via.