Silvio Lazzaroni – Vigilia di Natale

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Il giorno prima di Natale Nicola si trovava in ufficio. Fuori, da Piazza Meda fino a Corso Matteotti, la litania dei clacson non accennava a diminuire mentre si consumava il rito profano della corsa agli ultimi regali. Anche Beatrice era stata ingurgitata dalla frenesia di quelle ore a un paio di isolati da lì, in via Montenapoleone, seppellita dalle borse di Fendi, Roberto Cavalli e Gucci.
Nico si tolse la giacca, la posò nel guardaroba e si arrotolò con cura le maniche della camicia color ghiaccio, il suo colore preferito. La indossava solo quando voleva mettere in risalto l’abbronzatura. Poi accese lo stereo, come faceva sempre quando rimaneva solo in ufficio, e lasciò che le note di Take Five di Dave Brubeck riempissero lo spazio della stanza. Sprofondò nella sua poltrona in pelle e osservò la batteria iniziare a martellare sulla scrivania, poi il piano arrampicarsi lungo le pareti, il contrabbasso strusciarsi alle tende delle finestre e il sassofono accarezzare il lampadario di cristallo. Quando l’aria fu satura di note, prese un sigaro da un cassetto della scrivania e lo accese.

Bea si era seduta per riprendere fiato davanti al parallelepipedo di Apple, in piazzetta Liberty. Le mancava solo il regalo per Nico e, nonostante la stanchezza, nutriva la seria intenzione di scendere nel negozio per affrontare l’ultima fatica della giornata; poi, finalmente avrebbe preso un taxi per tornare a casa e attendere il rientro del marito. La cena l’aveva già ordinata la mattina stessa, avendo cura di non dimenticare i muffin al caramello che piacevano tanto a Nico. Aveva sistemato dai nonni il piccolo Lucas e speso un capitale per un vestito da Chanel, da indossare più tardi con le sue Louboutin. Tutto perfetto, tutto sotto controllo. Chiamò Nico, per sapere a che punto era.

L’assolo di batteria era appena iniziato quando Nicola vide il cellulare illuminarsi e iniziare a vibrare sulla scrivania. Il nome di Beatrice apparve sul display. Il rullante saltellava su tutto il parquet, mentre i tamburi rimbalzavano da una parete all’altra e i piatti andavano a sbattere sul lampadario. Nico rimase a guardarli senza curarsi di rispondere. Poi il sassofono riprese il tema principale, ma il cellulare aveva già smesso di vibrare.

Bea rimase incerta per alcuni istanti, indecisa se richiamare Nico o affrettarsi a scendere nel negozio, ma poi si alzò, prese un lungo respiro e si avviò verso la scala. Avrebbe chiamato più tardi, durante il viaggio che l’avrebbe riportata a casa.

Le ultime note del sassofono si spensero insieme a quelle del pianoforte, e il rumore dei piatti rimase in sospeso al centro della stanza, chiudendo la canzone. Anche Nico chiuse il cassetto che aveva lasciato aperto, riponendovi il sigaro spento. Si alzò, abbassò le maniche della camicia, riprese la giacca e, prima di indossarla, estrasse da una tasca interna un biglietto aereo. Rimase ad osservarlo.  L’imbarco era previsto entro un paio d’ore, e Nico avrebbe avuto il tempo necessario per arrivare in aeroporto, lasciare l’automobile che aveva preso a noleggio quella mattina e recarsi al ponte della Air Taithi per salire a bordo. Lasciò il cellulare sulla scrivania, prese la piccola valigia che aveva preparato vicino alla porta e, prima di uscire, lanciò un ultimo sguardo al dipinto di Gauguin dietro la scrivania, sorridendo. Poi spense le luci.

Fuori tutti gli alberi di Natale di Milano erano già accesi.

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