Miriam Bonetti – L’ira di Mukarib

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Mi chiamo Mukarib, ma tutti mi chiamano Mucca. Non Muka, ma Mucca, proprio come l’animale che sta in stalla e fa il latte. In Italia tutti usano abbreviare i nomi. Ma Mucca…
Ho provato a dire che non mi piace, ma nessuno mi ascolta. Anche la prof Salvini ha cercato di convincermi che Mucca è solo un diminutivo, ma quando mi chiamano così mi viene la rabbia, anche se mi trattieno.
Sono nato in Italia, ma questo non è il mio paese. Nemmeno il Pakistan lo è, in realtà: quando ci vado in vacanza, mi dicono che sono italiano. E qui sarò sempre forestiero, anche solo per il colorito olivastro della mia pelle e i capelli nero corvino. Me li sento addosso, gli sguardi preoccupati quando entro in un luogo affollato o in aeroporto: alla coda del checkin stanno tutti a una certa distanza. Cosa pensano che abbia, una bomba addosso? Stando lontani credono di potersi salvare da un’esplosione?
A scuola non ho tanti amici. I maschi non mi considerano perché non so giocare a calcio. E le femmine stanno tra loro. Osservano e spettegolano. Hanno qualcosa da dire o meglio ridire su tutto. Se la tirano, si scambiano commenti e risolini e quando qualcuno si avvicina, smettono di parlare.
Oggi sono venuto a casa con un occhio nero.
Durante la ricreazione, in cortile, i miei compagni giocano a calcio. Stamattina Luca, che di solito sta in porta, era a casa malato e Andrea mi ha chiesto se volevo sostituirlo. In porta non si deve correre e non si deve tirare il pallone. Ho pensato che forse avrei potuto farcela. Giocare con Andrea e i suoi amici è sempre un rischio. Andrea è il centroavanti di una squadra giovanile dell’Inter e non vuole mai perdere. A me non sta tanto simpatico. Quando mi incontra per strada non mi saluta e nemmeno in classe mi considera, a meno che non abbia bisogno di qualcosa. Non ha mai i fogli da disegno e li chiede sempre a me. Dice che me li restituisce ma non lo fa mai. Da grande farà il calciatore e, siccome per quello non serve studiare, a scuola non vale niente. Pretende che gli passi i compiti e che durante le verifiche lo faccia copiare. Se dico di no mi aspetta al deposito delle bici. Una volta mi ha sgonfiato le ruote, un’altra volta me le ha bucate. A qualcuno è andata anche peggio. Luca gli porta la merenda tutte le mattine, anche se non serve a niente perché Andrea non perde occasione di prenderlo in giro e di umiliarlo perché è troppo grasso. Dice che lo fa giocare in porta perché in mezzo al campo lo scambierebbero con il pallone. Le femmine, che sono sempre un po’ stupide, stravedono per Andrea. Dicono che è figo e che da grande avrà tanti soldi.
Durante tutta la partita me la sono cavata bene, ho fatto anche un paio di parate e Andrea è venuto a complimentarsi con me. Mancava solo un minuto alla fine della ricreazione. L’insegnante di ginnastica ci aveva già chiamato. Andrea ha detto: «Finiamo l’azione e poi andiamo.»
A me non piace arrivare in ritardo e volevo smettere di giocare subito anche perché la prof, se arriviamo tardi in palestra ci mette la nota.
«Che cagasotto che sei, Mucca! Non ti muovere, altrimenti ti aspetto al deposito!», mi ha sfidato Andrea.
Marco ha dribblato e ha tirato in porta. Anche Marco gioca a pallone. Non è forte come Andrea, ma nella squadra del paese è sempre lui che segna.
Ho visto arrivare il pallone, l’ho fermato, ma il tiro era potente. Il pallone mi è sfuggito dalle mani, è entrato in rete e abbiamo perso.
«Muuucca!» ha urlato Andrea. «Sei proprio una vacca a giocare a calcio!»
«Vacca sarai tu!» ho risposto.
Non l’avessi mai fatto! L’insegnante ci chiamava, ma Andrea si è girato e mi ha detto: «Dopo ti aspetto al deposito!»
Non so cosa mi è preso, ma ho risposto: «Perché aspettare?» e senza sapere come, mi sono scagliato su di lui. Andrea è più alto e muscoloso di me e mi ha dato subito un bel pugno in un occhio, ma anch’io mi sono difeso e gli ho fatto un bel graffio sulla faccia.
Quando siamo entrati in palestra la prof ci ha chiesto che cosa avessimo fatto, ma entrambi abbiamo risposto: «Niente. È solo un graffio.»
Non ci ha creduto ma ha fatto finta di niente e ha cominciato la lezione.

*     *     *

Oggi, tornando da scuola, ho pianto. Mia mamma deve essersene accorta anche se non ha detto niente. Mi ha servito il pranzo e mi ha chiesto come era andata.
Non è stata una bella giornata. La Salvini entrando in classe ha detto: «Ieri Mukarib ha picchiato Andrea.»
Mi sono chiesto come facesse a saperlo, visto che non era nemmeno a scuola. Probabilmente la mamma di Andrea è andata a lamentarsi questa mattina, prima dell’inizio delle lezioni. Lo so come fanno le mamme: quando succede qualcosa passano il pomeriggio al telefono con gli altri genitori, parlano tra loro, si danno ragione a vicenda e poi vanno dai professori a gridare pretendendo che i loro figli vengano difesi. Guarda caso, sono sempre le mamme dei più odiosi a farsi valere.
La Salvini ha detto che mi meritavo una punizione e che mi avrebbe mandato dal preside. Io non credevo alle mie orecchie e sono rimasto senza fiato mentre Andrea godeva. Non ci ha nemmeno chiesto come era andata, lei che si vanta di avere il compito di formare cittadini del futuro migliori di quelli del presente. Se facesse semplicemente l’insegnante cosa avrebbe detto? Che puzzo? Che mio papà ruba il lavoro agli italiani? E che sono un parassita come tutti gli immigrati?
Marco allora ha alzato la mano e ha detto: «Ma prof, non è solo colpa di Mucca!»
Io ho ricominciato a respirare, e per una volta non ho trovato brutto il mio soprannome. Andrea ha smesso di sorridere. La Salvini ha chiesto a Marco di raccontare tutto al preside. Andrea ha guardato Marco di traverso e ha fatto scorrere il pollice della mano destra sulla base del collo. Allora Marco ha detto che forse si era sbagliato.
La Salvini sembrava soddisfatta. Ha aperto il libro e ha detto: «La lezione di educazione civica è finita. Cominciamo con quella di storia.»

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