Jake Bolling ama il cinema, al punto da utilizzare i film e i suoi protagonisti come metri di paragone per la sua vita senza sussulti e aspirazioni, condotta per lo più in sporadica compagnia di giovani segretarie che sostituisce con regolare precisione. Kate, figliastra dell’amata zia Emily, è invece, al contrario, una creatura fragile e instabile, segnata da eventi traumatici e incapace di stringere relazioni umane equilibrate. Il loro incontro farà precipitare le rispettive esistenze l’una nell’altra, non senza risvolti drammatici, rendendoli reciproco sostegno in una storia d’amore piuttosto atipica e non sempre coinvolgente.
Gli eventi narrati da Percy in questo bizzarro romanzo, che può essere considerato una saga familiare estremamente peculiare, sono piuttosto banali; non si può nemmeno affermare che ci sia una vera e propria trama, piuttosto un susseguirsi di fatti raccontati, con ampie divagazioni, dal narratore in prima persona. Ciò che lo rende interessante è la dicotomia, avvertita dal protagonista, tra vita reale e vita “cinematografica”, che lo spinge a lunghe riflessioni e lo impegna in una ricerca spirituale che neppure lui è in grado di definire.
Lo stile è asciutto, tutt’ora attuale sebbene si tratti di un libro scritto agli inizi degli anni Sessanta, e la traduzione non tradisce la leggerezza della prosa, che non scade mai nella superficialità.
Purtroppo, però, la mancanza di una trama vera fa sì che restino in mente i personaggi e alcuni momenti del libro, ma senza che il tutto acquisti davvero corpo: lettura gradevole, ma il suo inserimento nei cento romanzi migliori del XX secolo (nella celebre classifica del Time) mi pare alquanto esagerato.