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Impiccalo più in alto

Credevo di aver visto tutta la produzione western di Clint Eastwood, invece mi mancava la sua opera prima statunitense, realizzata con la Malpaso Company, da lui stesso fondata dopo i successi italiani sotto la guida di Sergio Leone. Non solo, questo lavoro, che forse avevo intravisto da ragazzino in una sala di Terza Visione della mia città, fa emergere per la prima volta il Clint Eastwood autore, che partecipa in maniera attiva alla sceneggiatura, conferendo al film una narrazione realistica e attenta ai particolari tipica della scuola italiana.

La storia si svolge in Oklahoma, nel 1889, e vede protagonista il cow-boy Jed Cooper (Eastwood) che, dopo aver rischiato un’ingiusta impiccagione, diventa sceriffo grazie al giudice Fenton (Hingle) e vuole vendicarsi dei suoi aguzzini. Cinema della vendetta, dunque, ma anche storia d’amore tra il pistolero e una vedova affranta che vorrebbe vedere impiccati gli assassini del marito.

Molto realismo nelle scene che mostrano le esecuzioni, sia per le condizioni dei carcerati in prigione che per tutta la parte spettacolare relativa alle impiccagioni di massa, che radunano una folla di persone per assistere a un macabro spettacolo. Tra l’altro nel film si mostra una tecnica insolita (per il cinema) di impiccagione, quella praticata nelle esecuzioni ufficiali, comprensiva del rito religioso e dell’ultimo desiderio, con i pesi legati al palo, che cadono e decidono sulla sorte del condannato.

Il film è tutto impostato sul rapporto tra lo sceriffo Cooper e il giudice Fenton, che conducono la stessa lotta ma mostrano un diverso modo di sentire le ingiustizie: il secondo è più inflessibile e non esita a mandare al patibolo due ragazzini ladri di bestiame e un anziano colpevole di simili reati. Alla fine Cooper rinuncerebbe alla vendetta per sposare la sua bella e tornare alla vita del mandriano, ma viene convinto a mettersi al servizio di Fenton per contribuire a portare la giustizia in Oklahoma.
Per dirigere questo film si narra che fosse stato scelto Sergio Leone, sia per il tema tra giustizia e violenza che per il crudo realismo di cui è intrisa la sceneggiatura, ma il regista italiano era impegnato con la sua opera più importante (C’era una volta il West) e declinò l’offerta, lasciando che la scelta cadesse su Ted Post. La trilogia western di Leone stava riscuotendo un grande successo negli States, Clint Eastwood era sulla cresta dell’onda, e dopo questo film ebbe il lancio definitivo con Don Siegel (L’uomo dalla cravatta di cuoio), confermato con Dove osano le aquile, La ballata della città senza nome e tutto il ciclo dell’ispettore Callaghan.

Il progetto della casa di produzione – la Malpaso, dal nome del ruscello che attraversa la sua proprietà di Carmel-by-the-Sea – fu uno dei prodotti più emblematici del periodo. Impiccalo più in alto inaugurò un ciclo di opere interessanti, cinema d’autore che contamina il genere, perché tra le cose migliori notiamo citazioni stilistiche di Sergio Leone (il taglio degli occhi, lo zoom) e molto realismo tipico del cinema italiano (le sequenze di lotta nella sabbia del deserto, le impiccagioni).  Clint Eastwood parla con la voce del grande Enrico Maria Salerno, sfoggia un’interpretazione asettica e calibrata, stile trilogia di Sergio Leone, dimostrando molti debiti nei confronti del grande autore italiano.


Titolo Originale: Hang ‘Em High. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, 1968. Durata: 114’. Genere: Western. Regia: Ted Post. Soggetto e Sceneggiatura: Leonard Freeman, Mel Goldberg. Fotografia: Richard Kline, Leonard South. Montaggio: Gene Fowler Jr. Effetti Speciali: Dewey Gene Grigg, George Swartz. Musiche: Dominic Frontiere. Scenografia: Arthur Krams. Costumi: Gene Murray, Glen Wright, Elva Martien. Trucco: Keester Sweeney, Irwing Pringle. Produttore: Leonard Freeman. Casa di Produzione: Malpaso Company. Interpreti: Clint Eastwood (Jed Cooper), Inger Stevens (Rachel Warren), Ed Begley (capitano Wilson), Pat Hingle (giudice Adam Fenton), Charles McGraw (sceriffo Ray Calhoun), Ben Johnson (sceriffo Dave Bliss), Ruth Wite (Sophie), Bruce Dern (Miller), Alan Hale Jr. (Matt Stone), Arlene Golonka (Jennifer), James Westerfiled (un prigioniero), Dennis Hopper (il profeta), L.Q. Jones (Loomis), Michael O’Sullivan (Francis Elroy Duffy), Joseph Sirola (Reno), Bob Steele (Jenkins), James MacArthur (il predicatore), Bert Freed (Schmidt), Rissell Thorson (Maddow), Mark Leonard (Pubblico ministero).
Gordiano Lupi: Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).
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