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Heiko H. Caimi – Questa terra non è la vostra terra

Il cielo sopra Gaza non è mai stato così basso. Sembra schiacciare la città con il suo peso di fumo e cenere, un coperchio di piombo che soffoca anche i pensieri. Da giorni non dormo più. E quando chiudo gli occhi, non vedo altro che macerie e corpi riversi sulla strada. Alcuni non hanno più un volto, altri stringono ancora la mano di un figlio che non piange più. Che non vive più.
Hanno detto che dobbiamo liberarci di Hamas, trovare gli ostaggi, consegnarli. Lo dicono come se io e i miei vicini, quelli che fino a ieri dividevano con me il pane e il silenzio della paura, se anche lo volessimo sapremmo dove cercare. Ma non è questo il punto, vero? Lo sappiamo tutti: non è mai stato il punto. Vogliono che ce ne andiamo. Oppure che moriamo qui. Preferibilmente che moriamo qui.
Mi chiamo Omar, ho ventinove anni. Avevo un negozio di elettronica, uno di quei buchi minuscoli dove la gente veniva a riparare telefoni, a cercare una scheda SIM nuova, a trovare un po’ di connessione con il mondo esterno. Non c’è più. Distrutto come il resto del quartiere, ridotto in polvere da un missile che doveva prendere “terroristi”. Il palazzo accanto al mio non esiste più. Mia madre diceva che la guerra sarebbe finita presto, che la gente avrebbe visto la nostra sofferenza e il resto del mondo avrebbe fatto qualcosa. Ora sta seduta in un angolo, lo sguardo perso nel nulla. Le parole le sono morte in bocca insieme a mia sorella, uccisa mentre cercava dell’acqua.
Hanno detto che ci daranno delle opzioni. Andarcene. Ma dove? L’Egitto ci chiude le porte in faccia. I Paesi lontani ci vedono come numeri, emergenze umanitarie, rifugiati senza volto. Ma io non sono un rifugiato. Io sono di Gaza. Sono nato qui, mio padre è nato qui, mio nonno prima di lui. Questa è la mia casa, la mia terra: ogni strada, ogni muro porta il segno della nostra esistenza, delle nostre radici. Perché dovrei andarmene? Perché dovrei lasciare la mia casa a chi ha deciso che non merito di viverci? Lasciare Gaza non significa sopravvivere, significa solo morire più lentamente in un altrove che non ci vuole. Significa dare loro la vittoria che cercano: una terra svuotata, come se noi non fossimo mai esistiti.
Quindi resto. So cosa significa. So che quando il cielo si illuminerà di nuovo, sarò cancellato per sempre, come una sagoma senza importanza. Non avrò più un domani, nessuno di noi lo avrà. Ma questo domani non è mai stato mio. Me l’hanno rubato quand’ero ancora un bambino, quando imparavo a distinguere l’arrivo delle incursioni prima ancora di saper scrivere il mio nome, quando vedevo i soldati israeliani portar via gente che non avrebbe fatto mai più ritorno.
Dicono che dobbiamo scegliere. Ma la scelta è stata già fatta per noi. Loro scelgono di distruggerci, di ammazzarci tutti, e il mondo sceglie di guardare altrove. E i vivi invidieranno i morti, perché almeno loro non dovranno più avere paura.

Heiko H. Caimi: Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.
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