Siamo rannicchiati sotto la scrivania dello studio come gli stupidi protagonisti di un film horror di serie B. Dafne singhiozza come una vecchia caldaia scassata, il mascara le è colato fin sotto al mento e una striscia di moccio le penzola dal labbro sbavato di rossetto. Se i cellulari non fossero tutti morti le farei una foto.
Si aggrappa al mio braccio come se lo volesse staccare. «Chi sono quei tizi?».
A me lo chiede? È quel genio del suo ragazzo che ha portato quella cazzo di scatola!
Le appoggio una mano sulla testa. «Più tardi domandalo a Thom, ma adesso fai silenzio».
Lei tira su col naso e si pulisce con la manica della felpa. «Pensi che gli sia successo qualcosa?». Mi fissa con lo stesso sguardo di mamma quando ci chiedeva se avevamo fumato.
«No,» le mento con la stessa faccia tosta di allora, «si sarà imboscato da qualche parte e se la starà facendo sotto anche lui».
Non so se mi ha creduto.
Il taglio sul braccio brucia da matti e la manica della camicia è appiccicosa e fradicia di sangue.
Che cazzo di situazione!
Raccolgo la spranga di ferro e striscio fuori da sotto la scrivania. «Tu resta qui».
Dafne si raggomitola e si stringe le ginocchia al petto. Sembra una bambina col peggior trucco di halloween mai visto. «Credi davvero che funzionerà?».
Bella domanda.
«Certo,» le mento di nuovo, «proprio come nei film».
L’unica lampadina del corridoio sfarfalla. Il pesante tappeto color vomito attutisce i miei passi, ma le assi del pavimento scricchiolano come un sacchetto di patatine.
Odio le vecchie case!
C’è qualcosa addossato al muro.
Cristo, non so se voglio guardare.
Avanzo di qualche metro e raggiungo il corpo di Rebecca. È riverso a terra accanto a un grosso candelabro di ottone. La faccia schiacciata contro il tappeto e il cranio ridotto a una poltiglia scura.
Poveretta, davvero un pessimo primo appuntamento.
Dal fondo del corridoio giungono dei passi e un leggero bagliore verde rischiara la parete.
Merda, di nuovo il prete!
Mi infilo nella prima stanza e socchiudo la porta. È un minuscolo bagno di servizio e la doccia non ha nemmeno la tenda. Non posso nascondermi da nessuna parte.
Fanculo. Tutto per quello stupido, vecchio gioco!
Si fa sempre più vicino. Stringo la spranga fino a perdere la sensibilità alle dita. Si ferma appena oltre la porta. Trattengo il respiro. Nessun rumore, solo il gocciolio del rubinetto.
I passi si allontanano. Il cuore mi batte così forte che potrebbe rompermi una costola.
Seratina tranquilla un cazzo!
Mi sono morso il labbro e ho in bocca il sapore ferroso del sangue.
Spio oltre lo stipite. C’è solo Rebecca, ma del candelabro resta appena l’impronta insanguinata.
Scendo le scale. La porta d’ingresso è proprio davanti a me, ma so che non si aprirà: ci abbiamo già provato. Anche le finestre sono tutte sbarrate.
Non c’è via d’uscita. Se la mia idea è una cazzata sono bello che morto.
La sala da pranzo è proprio oltre il soggiorno. Sembra che di sotto non ci sia più nessuno.
Dove sarà finita la tizia col vestito rosso?
Mi fermo sulla soglia. Il tavolino è sfondato e la pelle del divano è macchiata di sangue. Mi stringo il braccio: è il mio sangue.
Spalle al muro, avanzo fino alla doppia porta del soggiorno. Sfilo delicatamente la chiave dalla toppa e do un’occhiata.
Il grande tavolo è come l’abbiamo lasciato. Una sedia rovesciata, piatti e bicchieri spinti da un lato per fare spazio al tabellone. Dadi e pedine sono ancora al loro posto, e nel caminetto il fuoco scoppietta indisturbato.
Tiro un respiro profondo e spingo la porta.
Ai miei piedi c’è Thom, gli occhi vitrei che fissano il soffitto, la bocca leggermente aperta e un pugnale conficcato nel collo. Ho le suole immerse nel suo sangue.
O la va o la spacca.
Mi richiudo la porta alle spalle e mi lancio verso il tavolo.
Le mani mi tremano, afferro il tabellone con tutto quello che c’è sopra e lo scaglio tra le fiamme.
Una vampata di fumo acre m’investe e mi riempie i polmoni. Tossisco. Il cartone s’incenerisce all’istante e le pedine di plastica colorata iniziano a sciogliersi con piccoli scoppiettii. Gli occhi mi lacrimano e fatico a respirare. Barcollo all’indietro.
La spranga che avevo lasciato cadere sul pavimento si dissolve nel nulla. Anche il pugnale nel collo di Thom scompare.
Ha funzionato davvero?
Sul tavolo resta solo la scatola vuota.
Meglio bruciare tutto.
Sotto il coperchio è incollato un vecchio foglio ciclostilato ingiallito dal tempo. Lo sfioro appena; si stacca e mi resta in mano.
Cluedo – Beta test – 1946
Una lunga sfilza di istruzioni ormai illeggibili e una nota a margine, scritta a penna con una brutta grafia: Mai giocare dopo mezzanotte!
Che cazzo di avvertimento…!
Accartoccio il foglio, lo infilo nella scatola e la lancio nel caminetto. Un’altra vampata.
Qualcosa rotola fuori, rimbalza sul bordo di pietra e si ferma accanto al mio piede.
La pedina gialla.
Cazzo, ne mancava una!
La porta si spalanca con uno schianto. L’uomo con il completo giallo sogghigna, si accarezza i baffi e mi punta contro una vecchia pistola.
Il Colonnello Mustard, nella sala da pranzo, con la rivoltella.
Bang!