X

Incontro con Mark Wingrave: “Sono attratto da ciò che non conosco”

Ci siamo incontrati con Mark Wingrave grazie a “Kiev degli anni Ottanta’’, una poesia di Olga Braghina che aveva tradotto quache anno fa in inglese e che avevo letto l’estate scorsa, prima nella sua versione inglese, poi in quella russa e in marzo quest’anno 2022 l’avevo tradotta in italiano (insieme a Valentina Meloni). Poco prima di offrirgli di intervistarlo per Inkroci l’avevo ‘seguito’ ancora una volta traducendo in italiano un’altra poesia di Olga Braghina da lui tradotta  in inglese. Mark Wingrave è un pittore cresciuto nell’Inghilterra, nei primi anni Ottanta vinse una borsa di studio in Italia e ora vive e lavora a Melbourne, in Australia. Ha esposto a livello internazionale e molte delle sue recenti mostre riguardano il linguaggio. In particolare, ha lavorato isprandosi di testi di Nikolai Gogol, Elena Shvarts ed Evgenia Rits. Sono felice che abbia accettato di partecipare a un’intervista, che è stata condotta via e-mail per poco più di una settimana nel maggio 2022.

Quando l’arte è diventata qualcosa di cui potevi sognare di far parte?
Quando avevo cinque anni. Ho disegnato un coracle (una vecchia barca gallese fatta con una pelle di animale tesa su un telaio di legno) per mia madre. L’ho disegnato su una cartolina bianca con una biro: era un semplice schizzo scarabocchiato copiato da un’enciclopedia. Non era un disegno particolarmente bello, ma ricordo vivamente di essere entrato in un altro mondo mentre lo facevo. A suola quando avevo quattordici anni ho realizzato un disegno tonale dettagliato del viso rugoso di un vecchio, sembrava realistico e i miei compagni di classe lo hanno ammirato. A scuola disegnavo anche le caricature degli insegnanti e facevo ridere i miei amici. Queste esperienze mi hanno dato un’idea di ciò che l’arte potrebbe fare sia in uno spazio fantasioso che pubblico.

Cosa ti ha fatto capire che volevi diventare un artista?
Sono cresciuto circondato da artisti: mio nonno, mio zio, i miei cugini e due delle mie zie, che lavoravano entrambe guidate dagli spiriti. Anche se sapevo che era qualcosa che potevo fare professionalmente, ero anche consapevole che fosse molto difficile guadagnarsi da vivere, quindi inizialmente ho studiato Graphic Design. Poi, durante una gita al college fino a Londra, ho visto la mostra di Agnes Martin alla Hayward Gallery che mi ha sbalordito. Così, dopo tre anni di design, ho smesso e ho studiato pittura d’arte per altri quattro anni a Bath. Non mi sono mai pentito di fare grafica, amo il design, in particolare la tipografia e mi sono piaciute molto le lezioni di Storia dell’Arte, che riguardavano i Costruttivisti e il Bauhaus. Questi artisti mi hanno influenzato molto. Così hanno fatto gli scrittori che stavo leggendo, Virginia Woolf e Katherine Mansfield, per le loro sperimentazioni e tentativi di rappresentare la coscienza nella poesia in prosa. L’arte può essere formativa per le persone che creano arte e anche per la società in generale.

In che modo l’arte può essere una cosa formativa?
Gli artisti hanno una voce a un livello più profondo, possono concettualizzare il mondo che li circonda e vivere da qualche parte tra l’ultimo e il successivo lavoro. A livello sociale l’arte mette in discussione le nozioni accettate della realtà ed espande il potenziale umano in termini di affetti e risposte. A livello personale, essere un artista ha cambiato e ricostruito la mia vita, mi ha dato un  senso infinito di curiosità ed energia, mi ha permesso di viaggiare, imparare altre lingue e incontrare persone. Mi piace come l’arte visiva si trovi da qualche parte tra uno spazio immaginario e materiale, come occupi uno spazio condiviso da molte persone contemporaneamente Il lockdown durante il Covid ha riportato questo spazio condiviso a casa. Mi meraviglio dell’impatto dell’arte, di come rimane con noi dopo quel primo incontro, risiedendo nei nostri ricordi oltre la memoria per la maggior parte del tempo, come indicatore di un vago valore o di possibilità, che ci tiene al caldo. C’è una parte dell’arte che esiste oltre lo scopo delle parole, il che è davvero una benedizione.

Avevi conseguito un Master presso la Chelsea School of Art e avevi vinto anche una borsa di studio in Pittura presso la British School di Roma. Ti va di raccontarci queste esperienze?
Quando sono arrivato alla Chelsea School of Art a Londra, appena fuori King’s Road nei primi anni ’80, è stato molto eccitante. C’era un gran parlare riguardo la musica punk e la Nuova Figurazione di Schnabel, Basquiat e Baselitz. Sebbene fossero e siano davvero importanti, all’epoca ero più interessato ad altre musiche e arti, come la cantante jazz Norma Winstone e il pittore Per Kirkeby. Sono andato a un numero incredibile di feste in posti meravigliosi tenute in casa di artisti: squat, luoghi di associazioni per l’edilizia sociale e magazzini portuali. Il Master è stato un intenso: 48 settimane di pittura senza alcuna scrittura accademica. Dodici studenti di pittura condividevano un vecchio edificio scolastico vittoriano dove ogni aula era occupata da due studenti. È stato un anno molto competitivo, abbiamo imparato molto gli uni dagli altri. Sono stato incoraggiato a fare domanda per una borsa di studio a Roma e fortunatamente ho avuto successo.
Così, nel settembre del 1982 ho lasciato Londra su un treno diretto a Roma. Avevo 25 anni, ero ancora giovane e molto impressionabile. All’arrivo sembrava che non sarei mai tornato a Londra e che avessi assunto una nuova identità. La British School at Rome ospitava archeologi, storici dell’arte, classicisti e artisti. Gli studi degli artisti erano grandi con un soppalco sopra e un letto. Gli studiosi accademici sono stati molto generosi con le loro conoscenze e ci sono state molte visite ai siti interessanti. Ci davano da mangiare tre pasti al giorno e tutti passavamo  molto tempo in compagnia l’uno dell’altro.
In poco tempo ho iniziato a trovare quest’isola britannica molto claustrofobica e ho ritenuto essenziale uscire per Roma e incontrare altre persone. A tal fine ho iniziato scambi linguistici con gli studenti della vicina Facoltà di Architettura e ho lavorato sodo imparando l’italiano e utilizzandolo socializzando con gli artisti dell’Istituto Svizzero. Sembrava la cosa più naturale da fare. Questa è stata una delle esperienze più formative della mia vita e ha stabilito saldamente il mio interesse per le lingue e i viaggi e mi ha portato a frequentare le lezioni di olandese, tedesco e russo.
Mentre vivevo a Roma c’era un enorme numero di opere d’arte da vedere e da ammirare, così tante che mi ci sono voluti tre mesi per prendere una decisione su cosa lavorare. Ho trascorso un certo tempo facendo disegni dai rilievi dei sarcofagi paleocristiani in Vaticano. Ero particolarmente interessato alle loro immagini stilizzate di scudi, alberi e uccelli.
Ogni giorno andavo a fare una passeggiata e osservavo regolarmente le opere di Caravaggio e l’architettura barocca, in entrambi i casi ero affascinato dalla drammatica caduta delle ombre e dall’uso di forme attorcigliate e  arricciate. L’anno dopo, dopo un paio di viaggi a Venezia, mi sono interessato a Tintoretto, il suo lavoro sembra così dinamico e veloce. Negli anni ’80 in Italia era il tempo della Transavanguardia e i pittori Clemente, Chia e Cucchi sembravano essere ovunque.

E poi? Come ha cambiato la tua vita e la tua arte?
Quando sono tornato a Londra nel 1985, ho trovato un posto dove vivere tramite un’associazione di alloggi per artisti nell’East End di Londra, era una casa economica e molto fatiscente. Mi sento molto fortunato che tale sistemazione esistesse in quel momento. Inizialmente, ho trovato lavoro insegnando inglese agli italiani durante l’estate e poi ho lavorato part-time al Westminster Hospital. Ho passato molto tempo a osservare Nicolas Poussin e a passeggiare nella foresta di Epping. Ho vissuto a Leytonstone per poco più di quattro anni e poi un anno in Svizzera prima di venire a vivere in Australia. Tra il 1987 e il 1989 ho viaggiato regolarmente in Gran Bretagna e ho camminato molto. Ero diventato molto interessato alla geologia e stavo realizzando piccoli collage circolari. Nel 1990 ho trascorso un anno a Zurigo, in Svizzera, con una borsa di studio, allargando questi interessi e imparando un po’ di tedesco. Alla fine mi sono stabilito a Melbourne e ho vissuto e lavorato qui negli ultimi 25 anni circa.

Cosa ti ispira?
Molte cose e persone, davvero. Matisse, Vallatton, Patrick Caulfield, Doris Salcedo, l’opera grafica di Natalia Goncharova. Le cose meravigliose che le persone pubblicano sui social media. Viaggi e lingue. Sono attratto da ciò che non conosco. Qualunque cosa vanifichi la familiarità data delle cose. C’è il viaggio lontano, ciò che porti a casa da questa esperienza e quello che poi noti nel tuo ambiente locale. Non deve essere un grande viaggio: vado in bicicletta ovunque ed esploro lo stato del Victoria, che è molto vario geograficamente. Anche camminare per le strade locali e scattare fotografie cambia le cose. Anche tradurre poesie, imparare nuove parole mi aiuta a vedere le cose in modo diverso.

Cosa ti ha spinto a lasciare la tua casa, l’Inghilterra, e trasferirti in Australia?
È successo tutto all’improvviso. Non molto tempo dopo il mio ritorno a Londra nel 1991 ho incontrato Susan, mia moglie, che era appena tornata dall’Etiopia e stava per tornare in Australia. Prima che se ne andasse andammo a passeggiare sulle montagne del Galles. Quattro mesi dopo sono emigrato in Australia.
È stata una decisione facile lasciare l’Inghilterra, lì mi sono sentito piuttosto turbato. L’Australia era lontana ed era completamente diversa da tutto ciò che sapevo. Da quando sono in Australia ho viaggiato nel deserto e ho camminato e pedalato sulle montagne, ho imparato a conoscere le persone delle prime nazioni e la loro incredibile arte. C’è voluto del tempo per acclimatarsi. Mentre vivo qui ho anche viaggiato un bel po’ all’estero, specialmente nell’ex Europa orientale e in vari luoghi dell’Asia.

Raccontaci qualcosa del tuo interesse per Paul Celan…
Nel 2014 ho viaggiato in Romania, ho trascorso del tempo in Bucovina e Maramures e ho visitato la sua città natale Chernivtsi in Ucraina. Ho pianificato quel viaggio usando una vecchia mappa ebraica che corrisponde ai nomi delle strade in quattro lingue. Per me, in un certo senso, è stato un pellegrinaggio. Successivamente ho realizzato tre libri d’artista per Celan.

Davvero? Perché un pellegrinaggio? Molti amanti della poesia e poeti vorrebbero fare un simile pellegrinaggio, sai…
Stavo pensando al suo uso della lingua e al suo background. Sono andato a Chernivtsi per vedere da dove veniva. Sono sempre stato stupito dalla sua poesia, dal suo immaginario sorprendente, dal linguaggio concreto, dal fatto che ha creato qualcosa da circostanze terribili che è riuscito a superare, senza esserne completamente cambiato.
Prima del viaggio attraverso alcune ricerche in biblioteca ho trovato i due indirizzi dove abitava. L’unico problema era che questi indirizzi non esistevano più; risalivano all’epoca in cui la regione della Bucovina faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico. Fortunatamente, sono riuscito a trovare una mappa online elaborata da un’organizzazione ebraica che corrispondeva ai nomi delle strade austro-ungariche, rumene, sovietiche e ucraine. Con una stampa di questa mappa sono stato in grado di indicare la strada a un autista da Suceava in Romania a questi luoghi a Chernivtsi, in Ucraina. Quando li abbiamo trovati, ho scattato alcune fotografie delle porte e delle facciate. Abbiamo anche visitato l’università dove ha studiato Celan; è davvero un edificio straordinario.

Perché Celan è importante per te?
La visita mi ha aiutato ad apprezzare il fatto che Celan viveva in un crocevia culturale e linguistico, dove conoscere altre lingue era consueto ed opportuno. Tradusse anche poesie e visse letteralmente la sua vita tra le lingue. Nel leggere la sua poesia sembra distruggere e rifare il linguaggio allo stesso tempo. È naturale vedere le sue decisioni estetiche attraverso la lente della biografia, l’occupazione della sua casa e la perdita traumatica della sua famiglia, Auschwitz; anche se penso che questa sia solo una parte della storia poiché ha anche attinto a una approndita conoscenza della cultura internazionale. Celan ha spinto i limiti di ciò che è possibile nel linguaggio, sapendo anche ciò che non può essere rappresentato.

Last Person Singular, 2021, FiveWalls Gallery

Parliamo un po’ dei tuoi approcci all’immaginario scritto e visivo?
Nel tempo il linguaggio ha avuto un ruolo sempre più importante nella mia pittura, che ha sviluppato sempre più un rapporto con l’immaginario scritto. Questo è successo perché quello che faccio tende a confluire in quello che creo in studio. L’insegnamento dell’inglese come lingua straniera, il contatto con studenti stranieri, il lavoro a fianco di altri migranti e l’apprendimento di altre lingue hanno lasciato il segno. Altre lingue significano altre prospettive. E vivere in Australia dove si parlano così tante lingue; qui si parlavano seicento lingue indigene prima del genocidio. Qui il linguaggio è ovunque, sotto i nostri piedi e nell’aria.
Quando lavoro a un progetto di solito inizio raccogliendo frasi da ciò che leggo o traduco, sono immagini scritte che risuonano. Li scrivo su schede di riferimento e li appunto con il nastro sul muro e mi siedo e osservo le loro qualità e connessioni, a volte mi viene in mente un colore, a volte ho un’immagine che mi esce fuori e ci improvviso sopra,  di solito so cosa desidero attraverso tentativi ed errori. Nel fare dipinti con immagini e testo c’è sempre il problema della loro relazione. Si dice che se metti insieme immagine e testo l’immagine diventa illustrazione o il testo diventa didascalia. Mi chiedo su questo. Certamente, c’è un richiamo, una forza in quelle direzioni, ma è più sfumato di così. Trovo che una sorta di tensione, contrappunto, contraddizione o addirittura arbitrarietà tra immagine e testo sia la più fruttuosa.

Hai detto “Altre lingue significano altre prospettive” e hai un rapporto straordinario con la lingua russa. Come è iniziato questo viaggio?
Ho imparato il russo negli ultimi 12 anni, per leggere la letteratura e la poesia. Ho viaggiato in Russia, Georgia e Ucraina e leggo regolarmente il russo. Fa parte della mia vita. La gente mi chiede se ho un’origine russa. No, non ne ho. Anche se non ho mai incontrato mio padre, so che aveva un cognome irlandese.
Nel 2000 ho visitato San Pietroburgo, sono stato lì solo per sei giorni. Mi ha fatto una grande impressione, tanto che ho trascorso i sei anni successivi a leggere tutto ciò che potevo sulla Russia. Nel 2006 mi sono imbattuto in una copia bilingue delle poesie di Anna Akhmatova e ho iniziato a imparare il russo per leggerle in russo. Tutto questo ha iniziato a influenzare me e la mia pittura in modi difficili da spiegare. A un certo punto ha significato che pensavo meno alle mie radici come un modo per capire chi ero e iniziai a pensare di più a sviluppare ramificazioni su come potevo essere. Certo, arte e linguaggio sono collegati; l’arte visiva riguarda il vedere e il linguaggio modella ciò che vediamo.

Per te la traduzione è…
Con la traduzione vai via da qualche parte, riporti qualcosa e cerchi di dargli un senso in termini domestici. È anche simile all’arte in quanto si lavora da qualcosa e si ricrea in altri mezzi, in altri materiali. La trasformazione è fondamentale. È un processo affascinante, il traduttore abita il lavoro di un’altra persona per ricrearlo o creare qualcosa di nuovo. La perdita, persino il fallimento, sembra inseparabile dalla traduzione. Sarebbe davvero interessante compilare una raccolta di introduzioni dei traduttori.
Nel 2013 ho iniziato a interessarmi alla traduzione (tradurre in inglese i poeti russi contemporanei  è un altro progetto in corso). Lo spazio tra il linguaggio ora per me è diventato  uno spazio  per dipingere. Seleziono parole, immagini scritte in particolare che risuonano e improvvisano su di esse. Questo lavoro particolare  risale proprio alla mostra che ho fatto nel 2019 che utilizzava frammenti di Dikanka Stories di Gogol (Вечера на хуторе близ Диканьки, 1831).
Nel 2013 ho scoperto la poetessa russa contemporanea Evgenia Rits, il cui lavoro ammiro moltissimo e con cui sento una forte affinità. Ho iniziato a tradurre la sua poesia, che è davvero difficile in quanto è complessa e stratificata. Ad esempio, è fortemente metrica, utilizza numerosi quasi omonimi e i suoi temi sono un collage di riferimenti mutaforma. Incarna l’impossibilità della traduzione, motivo per cui probabilmente continuerò. In termini occidentali descriverei il suo lavoro come qualcosa tra le visioni di William Blake e i tessuti di Anni Albers. Quindi, la sua poesia è sia formale che ricca di contenuti. Tradurre significa distruggere una poesia smontandola per capire come è fatta, e poi rimontandola in un altro modo. Mi interessa molto questo aspetto della traduzione e cosa significhi per l’arte.

The Time of Day, FiveWalls Gallery, 2019.

Ti occupi dell’astrazione e della traduzione e crei lavori che riuniscono immagini grafiche ed estratti dalla letteratura russa. Come è iniziata la tua “infatuazione” per i racconti di Gogol?
Tra il 2018 e il 2020 ho raccolto frammenti dei Racconti ucraini di Nikolai Gogol e li ho dipinti. Non la chiamerei infatuazione, è più simile al fascino. È iniziato dopo essere tornato a casa dall’Ucraina, stavo sfogliando la mia guida e guardando i luoghi che non avevo visitato. Ho appreso dei primi anni di vita di Gogol in Ucraina e del significato dei racconti popolari locali sui suoi scritti. Ho letto alcune di queste storie online in russo e attratto dalla loro natura fantastica ho scritto un elenco di estratti come punti di partenza per due corpi di lavoro: “The Time of Day” e “After Gogol”.
La mostra “The Time of Day”:
https://mcwingrave.wordpress.com/the-time-of-day/ si ispira a un racconto di Gogol in cui il diavolo ruba la luna dal cielo e nell’oscurità inganna gli abitanti del villaggio. Comprende un ciclo di colori e monocromi grigi. Il testo nei dipinti si riferisce a momenti della giornata e bizzarri avvenimenti soprannaturali. I pannelli di colore e grigio si alternano e ruotano tra saturazione dell’attenzione e deficit. Ho concepito lo spettacolo mentre Trump era in carica e il racconto di Gogol sembrava uno specchio perfetto per quei tempi, un mondo capovolto in cui le bugie erano verità.
In termini pittorici, ho amato il senso di magia e fantasia del racconto, sembrava a un milione di miglia di distanza dall’idea di pura astrazione. Quindi, mettere insieme i due era troppo bello per non vederlo. Per molti aspetti il dialogo tra testo e immagine è volutamente irrisolto, in modo che possa svilupparsi in modi inaspettati. Più in generale, ho sempre avuto un fascino per la cultura popolare: i tessuti, la musica, l’architettura e le storie. È interessante notare che gli artisti futuristi come Natalia Goncharova sono stati ispirati dall’arte popolare. Ho scelto gli estratti per la loro natura fantastica. Descrivono un mondo capovolto e corrispondono ai tempi in cui viviamo.

After Gogol, 2020, A5 touring exhibition

Puoi parlarci un po’ del tuo progetto “After Gogol”? Come hai visualizzato la giacca rossa del diavolo?
Questo lavoro si riferisce a “The Fair at Sorochyntsi”  (“Сорочинская ярмарка”/ “Sorochinskaya yarmarka”) di Gogol. Racconta la storia della giacca rossa del Diavolo che scompare, passando di persona in persona, maledicendo tutti coloro che vengono in contatto con essa.
È un piccolo libro A5 di cinque pagine doppie che combinano testo parallelo russo e inglese con immagini. Durante la lettura della storia sono rimasto incuriosito dall’immagine della giacca che veniva distrutta e rimessa insieme, come se questo presagisse il ritorno del Diavolo sulla terra. Ho estratto cinque frasi dal racconto e poi ho disegnato una serie di immagini decorative interconnesse che vanno da una losanga, un diamante a gradini fino a forme a uncino ricurvo. Le immagini sono spazi negativi con il resto della pagina dipinto nello stesso verde smeraldo. Questo particolare verde genera il suo complementare e fa apparire rosa la carta bianca. Mi interessa fare un lavoro che allude a cose al di là della cornice, qualcosa che non può essere visto. Quindi, in un certo senso, questi disegni invocano il colore rosso.

Hai visto qualche illustrazione della storia di altri artisti?
No, non ne ho visto nemmeno una.

Quindi, hai visitato l’Ucraina nel 2018 e la Georgia nel 2019 e avresti dovuto fare un paio di puntate in Russia nel 2020, ma Covid e ora l’invasione russa in Ucraina… Forse la nostra intervista ha bisogno di una domanda sulla cultura dell’annullamento riguardo la ‘grande’ cultura russa…
La guerra è terribile. Molti sono fuggiti dall’Ucraina e dalla Russia. La distruzione e la perdita di vite umane.
Riguardo a questa cosa chiamata cultura dell’annullamento. Penso che il contesto sia davvero importante. Chi? Dove? Come mai? Le istituzioni hanno molte considerazioni complesse, i russi in Russia e i russi in altri paesi avranno le loro considerazioni specifiche e gli ucraini ovviamente avranno le loro. Personalmente non credo che un riflesso generale sia utile o molto illuminato. Non so di avere una posizione sulla cultura dell’annullamento. Semplicemente non tradurrei qualcosa se non ci credessi, se fosse razzista, sessista o nazionalista. Penso che l’arte davvero buona abbia molte voci, fluida nel significato e quindi politicamente inaffidabile. Molti russi che sono traduttori, in particolare quelli fuori dalla Russia, scelgono, per il momento, di tradurre poeti ucraini o poeti russi che scrivono sulla guerra. È una questione di priorità. Continuerò a tradurre la poetessa russa Evgenia Rits perché penso che sia una delle migliori poetesse contemporanee che scrivono oggi, gran parte del suo lavoro interroga e problematizza la storia e le singole narrazioni.

Molti direbbero: la traduzione è un atto politico…
Dmitry Kuzmin ha fatto alcuni commenti davvero perspicaci all’inizio di quest’anno su Evgenia Rits che ha ricevuto il Premio di poesia Vavilon, che penso siano rilevanti in questo contesto. È stato pubblicato poco prima del 24 febbraio.
“La poesia di Rits è estremamente lontana da qualsiasi rilevanza politica, ma la grande poesia non è né apolitica né irrilevante. Rits ha trascorso quasi un decennio e mezzo nella poesia russa come una figura notevole e accattivante, ma profondamente oscura. La sua attuale ascesa alla ribalta avviene nel mezzo di una Russia post-Crimea al collasso. Per le regole di sopravvivenza in questo paese, una nuova generazione di poeti e lettori si rivolgerà alle poesie di Evgenia Rits”.
Infine, la nozione di “grande” cultura russa è certamente in fase di revisione, e in alcuni punti è ora in fase di ripensamento. Oggi come molte persone mi sto adattando alla nuova realtà, dipingo e non vedo l’ora di partecipare a un seminario di traduzione all’Università di Bristol il mese prossimo.

20-29 maggio 2022


Traduzione dall’inglese di Emilia Mirazchiyska e Flavio Cogo

Emilia Mirazchiyska: Emilia Mirazchiyska (1972) vive e lavora a Sofia, Bulgaria, dove è nata. È editore e direttore della piccola casa editrice Scalino, che include a catalogo anche due antologie in italiano da lei curate: “Maternità possibili” (insieme a Rayna Castoldi, 2011) e “Saluti a Dickens – 15 storie di Natale” (2012). Oltre ad aver insegnato per anni storia dell’arte al Liceo Italiano di Sofia, è traduttrice: a sua firma la versione tradotta del primo romanzo di Francesca Lancini “Senza tacchi” (Bompiani, 2011) e la prima parte del libro di poesie di Dome Bulfaro “Marcia film” (Scalino, 2016). Ha inoltre tradotto dal bulgaro all’italiano con diversi co-traduttori/poeti italiani i libri di alcuni importanti poeti bulgari: Vladimir Levchev (il cui libro antologico di poesie “Amore in piazza” è pubblicato in Italia da Terra d’ulivi edizioni, febbraio 2016, nella loro traduzione con Fabio Izzo); Beloslava Dimitrova (“La natura selvaggia”, pubblicato in Italia da Arcipelago itaca edizioni, febbraio 2017, nella loro traduzione con Danilo Mandolini); Aksinia Mihaylova (“Nel delta del mondo”, pubblicato in Italia da Edizioni Kolibris, maggio 2017, nella loro traduzione con Francesco Tomada).
Related Post