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Rahman Baba: Il poeta dei misteri

Ritratto di Sam Franza

Praticamente sconosciuto in Italia, Abdul Rahman Baba è uno dei poeti più amati e riveriti tra i Pashtun dell’Afghanistan e del Pakistan.

Nasce verso il 1650 nella città di  Peshawar, attuale Pakistan, che in quel tempo era parte dell’Impero Moghul. Molto della sua vita rimane avvolto nell’oscurità ed è stato tramandato solo da una lunga tradizione orale nella quale i fatti storici si sono mescolati al mito.

Per ciò che si sa, Rahman Baba era un asceta membro di una confraternita Sufi, un ordine religioso che pratica la dimensione mistica dell’Islam.
Durante il XVII secolo gli Afghani si trovavano nel mezzo di guerre in ogni angolo del paese; eppure, proprio quando lo studio era l’ultimo interesse nella vita della gente, nacque questo poeta che diventò una leggenda.

Abdul Rahman è comunemente considerato un santo tra i poeti Pashtun. E’ per questo che viene chiamato “Baba”, parola che significa padre, ed è un comune appellativo di rispetto per l’età o per la saggezza. Nessun poeta Pashtun ha raggiunto la popolarità universale di Rahman Baba: è stato un grande mistico e fonte di ispirazione per gli altri poeti e scrittori, oltre a essere un inesauribile argomento di studio per i ricercatori e i critici della lingua Pashto.

Rahman Baba conosceva la cultura, il folklore e le caratteristiche positive e negative tipiche della società Pashtun. Non era un mistico distaccato e solitario, ignaro e cieco davanti ai problemi quotidiani della gente attorno a lui.

Era un vero rappresentante dello spirito dell’epoca in cui viveva: la sua poesia è uno specchio delle virtù e dei mali del suo tempo, tanto che molti dei suoi versi sono diventati proverbiali nella lingua Pashto e spesso vengono citati all’interno di discorsi pubblici o sermoni.

La reverenza con cui Rahman viene onorato dai Pashtun oggi, non riflette però  il modo in cui potrebbe essere stato considerato durante la sua vita. Una questione controversa è legata al rifiuto che egli manifestava  verso l’osservanza delle pratiche esteriori dell’Islam. Nella tradizione popolare si ritiene ancora oggi che la sua ricerca di Dio al di fuori della moschea e il suo scarso interesse per le pratiche formali della religione lo abbia portato più volte a trovarsi in conflitto con l’establishment religioso del tempo.

L’opera poetica di Rahman Baba mostra un uso sottile di diverse lingue, tra cui  il Pashto, l’Arabo e il Persiano, così come una vasta conoscenza della storia, della filosofia e della teologia. Particolarmente rilevante è il fatto che Rahman deve essere stato istruito sia nella giurisprudenza islamica (fiqh) che nel sufismo (tasawwuf), per essere  in grado di scrivere come faceva.

Sebbene apparentemente in contrasto, l’insegnamento di entrambe le discipline deve essere stata la norma durante il suo tempo, come è accaduto per altri poeti, e per ricevere tale istruzione Rahman non deve essere andato molto lontano, dato che Peshawar stava cominciando ad ottenere una certa reputazione come centro di studi religiosi, che l’avrebbe portata più tardi a rivaleggiare con Bukhara.

Rahman fu autore di un grandissimo numero di poesie raccolte in un’antologia – Diwan – la maggior parte delle quali è scritta nella sua lingua nativa, il Pashto.
Le prime copie del Diwan erano scritte a mano, ed ebbero ampia circolazione già a partire dal 1728.

Il primo Diwan stampato in Pashto fu prodotto a Lahore nel 1877. Almeno tre differenti tentativi sono stati fatti per raccogliere un’antologia da diversi manoscritti.
In alcune versioni il Diwan è diviso in due volumi separati (daftar). Le poesie in ogni volume sono ordinate secondo la rima della lettera che termina ogni verso.

La traduzione del Diwan in inglese è stata limitata. Delle 343 poesie Henry George Raverty ne ha tradotte 36, Plowden 35,  J. Enevoldsen 50 e A.R.Benawa 12.
In ogni caso molte sono traduzioni delle medesime poesie, così il numero totale delle singole opere tradotte ammonta solo a un’ottantina.

Il Diwan contiene 343 poesie. Di queste la maggioranza sono sotto forma di ghazal, di lunghezza compresa tra gli 8 e i 12 versi. Sei poesie sono tra i 40 e i 50 versi di lunghezza, e la più lunga ha 94 versi.

Seguendo la struttura dei ghazal, che fu perfezionata da Hafez e altri poeti persiani, ogni linea ha due parti (misre) che rimano una con l’altra solo al primo verso. La fine di ogni verso è in rima, e finisce con la stessa lettera dell’alfabeto.

L’ultimo verso contiene il nome del poeta, seguendo lo stile usato per primo da Sana’i di Ghazna.
Rahman Baba ci ha lasciato in eredità un messaggio universale: nella sua poesia tratta di amore, compassione, pace e umanità.

La sua opera ha affascinato molti linguisti, studiosi e ricercatori attratti tanto dal suo simbolismo quanto dal desiderio di conoscere la saggezza collettiva del popolo Pashtun. La città di Peshawar gli ha dedicato un mausoleo con annesso centro culturale.

 Il giardino dell’esistenza non sarà fiorito per sempre.
Il mercato della vita non sarà per sempre in trambusto.

Come il fiume Aba Sind rimbalza  lungo il suo corso,
Con tale estrema precipitazione è il progredire della vita.

Proprio come il lampo, che si mostra e non è più;
Così rapido, senza dubbi, è il rapido corso della vita.

E’ violento e impetuoso a tal punto,
che nessuno è in grado di governare le briglie della vita.

Poiché il suo rapido destriero  non ha né  morso né briglia,
Il coraggioso cavaliere della vita alla fine cadrà.

In un’ora sola spezza le amicizie di anni –
In tal modo, infedele è l’amico di una vita.

Non lascerò la mia casa, nemmeno viaggerò;
Perché, senza intraprendere viaggi, si attraversa la strada della vita.

Sarà, in fine, tagliato dalle cesoie del destino—
Non rimarrà per sempre allacciato questo filo della vita.

Osserverà il suo stesso sé con l’occhio di una bolla,
Chi, nel proprio cuore, volesse calcolare la lunghezza della vita.

O Rahman! Non vi sono occasioni  di nuovo in questo mondo
Per colui su cui è trascorso il tempo della vita.

(Traduzione comparata dall’inglese e dal pashto  di Anna Ettore e Samaruddin Zazai)

Anna Ettore: Anna Ettore è nata e vive a Milano. Si è laureata in lingue e letterature straniere e lavora come bibliotecaria e interprete. Ha frequentato per alcuni anni la Scuola Forrester di scrittura creativa della Casa Editrice Tranchida. Crede che il suo destino sia diventare scrittrice e nel frattempo si appassiona a culture, lingue e paesi lontani.
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