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Storia di Nuradin P’hridon quando Tariel lo incontro’ sulla riva del mare – di Shota Rustaveli

Illustrazione di Ada Natale

  1. Arrivai di notte; giunsi sulla riva dove si vedevano dei giardini. Sembrava come se lì vi fosse una città: ci avvicinammo, su di un lato le rocce erano cave. La vista degli uomini non mi diede piacere; dei marchi erano impressi sul mio cuore. Smontai per riposare in un luogo dove vi erano alberi elevati.
  2. Mi addormentai ai piedi degli alberi; gli schiavi spezzarono il pane. Poi mi risvegliai triste, il conforto (della malinconia) portò la notte nel mio cuore; in un così lungo tempo non acquisii nulla, né chiacchere né consolazione; le lacrime spremute dai miei occhi bagnarono i campi.
  3. Udii un grido. Guardai intorno, un cavaliere gridava con superbia, stava galoppando lungo il litorale, era ferito, la sua spada era sporca e spezzata, il sangue scorreva; minacciava i suoi nemici, era adirato, malediva, si lamentava.
  4. Era seduto su di un destriero nero, lo stesso che io ora possiedo; come il vento egli si scuoteva, furioso, irato. Mandai uno schiavo (per dirgli) che desideravo incontrarlo; gli ordinai di dirgli: “Alzati! Dimmi che cosa ti fa infuriare, O leone!”
  5. Lui mi guardò e disse a Dio: “Come hai potuto fare un tale albero!” Poi mi disse: “Ora ti dirò quello che mi hai chiesto: Quei nemici che io avevo fino a qui creduto pecore, si sono dimostrati leoni con me; mi sono piombati addosso slealmente quando non ero pronto, non indossavo la mia armatura.
  6. Gli dissi: “Aspetta, calmati, smontiamo ai piedi degli alberi! Un buon cavaliere non si ritira quando le ferite vengono dalla spada.” Lo portai con me; andammo più affezionati di un padre e di un figlio. Mi meravigliavo della delicata bellezza del cavaliere.
  7. Uno dei miei schiavi era un chirurgo, gli fasciò le ferite, estrasse le punte di freccia così che la ferita non dolesse. Poi gli chiesi: “Chi sei tu, e da chi fu colpita la tua armatura?” Si preparò a raccontarmi la sua storia, compianse se stesso.
  8. Per prima cosa mi disse: “Io non so chi tu sei, né a chi ti posso paragonare. Non so che cosa ti ha consumato o chi per primo ti abbia saziato. Non so che cosa ti ha trasformato in salice, tu che eri stato piantato rosa e nero giaietto. Perché Dio ha spento la candela che ha acceso lui stesso?
  9. “Vicina è la città di Mulghanzanzari, che appartiene a me. Il mio nome è Nuradin P’hridon, sono il re che governa laggiù; qui dove tu sei fermo è il mio confine. Possiedo poco, ma in tutte le sue parti questo poco è di eccellente qualità!
  10. “Mio nonno spartì il suo territorio tra mio padre e mio zio. Nel mare vi è un’isola, questa, che lui disse era la mia parte, ed era caduta nelle mani di quello zio i cui figli mi hanno ora ferito; le zone di caccia rimasero a loro, non vi avevo rinunciato, sono loro che hanno litigato con me.
  11. “Oggi sono andato per cacciare, ero a caccia in riva al mare, volevo attraversare lì, così non portai molti battitori; dissi alle truppe : ‘Aspettatemi fino a quando torno.’ Ho tenuto non più di cinque falconieri”.
  12. “Andai per nave ; dal mare usciva un torrente. Non raccolsi quelli che erano separati da me:

mi dissi: ‘Perché dovrei prendere precauzioni contro la mia stessa gente?’ Mi sembravano timorosi; la loro moltitudine non si vedeva. Cacciavo e salutavo; non trattenevo la mia voce.”

 

 

Shota Rustaveli

e l’Uomo dalla pelle di leopardo

 

Rustaveli è considerato il poeta nazionale della Georgia, lo Stato transcaucasico a est del Mar Nero situato proprio sul punto che demarca la divisione tra Europa e Asia. La Repubblica Georgiana, ex Unione Sovietica, fu abitata sin dalle epoche più antiche, ed era conosciuta nel mondo classico come Colchide, mitica terra di favolosa ricchezza, verso cui partì Giasone per conquistare il vello d’oro.

Dal punto di vista storico non vi sono molte notizie certe: Shota Rustaveli nacque verso l’anno 1172 a Rustavi, villaggio georgiano della regione della Meskhezia, da cui prese il nome, e morì a Gerusalemme nel 1216 circa. Molti episodi della sua vita rimangono avvolti nel mistero, ma si sa che visse nel periodo del regno della grande regina Assi Tamar, in onore della quale compose odi, e alla cui corte servì come tesoriere.

Quel regno fu un periodo di grande splendore, dato che la regina promosse le arti e le scienze, mentre la Georgia raggiunse un ruolo chiave nel Caucaso, per un attimo collocatosi in equilibrio perfetto tra i Turchi e i Mongoli che poco tempo dopo l’avrebbero invasa dando fine a quel Rinascimento orientale.

Il rapporto tra Rustaveli e la sua regina fu a lungo indagato, e si ipotizza che il poeta fosse profondamente innamorato della sua sovrana, alla quale dedicò la sua opera. Forse proprio a causa di questa sua passione senza speranza andò in pellegrinaggio in Terra Santa, e a Gerusalemme dipinse il proprio ritratto nel Monastero di Santa Croce, forse nel luogo in cui potrebbe essere stato sepolto.

Il suo poema, L’uomo dalla pelle di leopardo, tradotto anche da alcuni come Luomo dalla pelle di pantera, è un’epica cavalleresca che costituisce l’opera fondamentale della letteratura georgiana. La sua elaborazione viene collocata nel periodo che va dal 1180 e il 1210 perché riferisce di avvenimenti storici accaduti durante il regno della regina Assi Tamar. Ma fu dopo parecchi secoli che a Tibilisi vennero stampati per la prima volta i manoscritti dell’opera, che venne così scoperta dagli studiosi e dai lettori. Per più di cinquecento anni, prima della stampa, l’opera subì probabilmente una serie di manipolazioni e modifiche ad opera dei copisti, e ciò si comprende anche dal fatto che alcuni versi appaiono sconnessi o contraddittori rispetto al contesto complessivo in cui si collocano.

L’Uomo dalla pelle di Leopardo è un poema epico-cavalleresco composto di circa 1600 quartine di versi rimati di sedici sillabe, ed evidenzia un forte influsso del mondo e della letteratura persiana, come nel suo prologo lo scrittore stesso dichiara.

I protagonisti e gli eroi del poema rendono in modo vivido la struttura e realtà della società georgiana del XII secolo, con tutti i personaggi che lo popolano: nobili, cavalieri, guerrieri, ma anche mercanti e servi. Al contempo, nel mondo descritto si mescolano con naturalezza anche la magia e i personaggi fiabeschi o soprannaturali delle saghe persiane come i Kagi, folletti-diavoli e i Devi, spiriti malefici.

La storia narra la vicenda del rapimento, per mano delle forze del Male, della donna amata da Tariel, uno dei protagonisti, cavaliere coraggioso che indossa una pelle di vephki, il cui significato in georgiano oscilla tra il leopardo e la pantera, che risulta un animale ricorrente anche nella letteratura epica persiana.

Avtandil, è un cavaliere che si dedica ad aiutare Tariel nella sua sofferta ricerca, con un senso di devozione e amicizia, più solido di un legame di sangue. Questo è uno dei temi più intensi del poema; oltre all’amicizia, i motivi forti che vengono trattati sono la lealtà verso il re, la fedeltà alla parola data, l’amore, e un profondo senso etico.

La vera qualità del poema non risiede nella trama o nei temi che si ritrovano anche in molte delle opere epiche del tempo, persino più a Occidente, nei cicli provenzali o bretoni, ma si trova piuttosto nello stile, nell’ambientazione e nella complessità dei personaggi. La narrazione è ricca di movimento e non è mai monotona, con un crescendo di tensione e una concatenazione dei fatti magistralmente logica e naturale. Si trovano anche parecchi monologhi e lettere liriche che illustrano i sentimenti e i conflitti interiori dei protagonisti.

Il problema del lungo oblio e della tardiva pubblicazione dell’opera si unisce al fatto che la lingua in cui è stata redatta, il georgiano, è poco nota perché parlata da un numero complessivamente ridotto di persone. E’ un idioma dotato di un alfabeto proprio e che possiede una struttura particolarmente complessa e ricchissima di potenzialità espressive e di sonorità, tale da rendere la comprensione del testo estremamente difficoltosa anche agli studiosi.

Tutto ciò ha limitato la diffusione dell’opera in occidente, tanto che tuttora questo capolavoro risulta poco tradotto in Europa e soprattutto poco conosciuto, come tanta letteratura lontana dalle nostre abitudini culturali.

E’ grazie a Marjory Scott Wardrop, studiosa e traduttrice di letteratura georgiana, che abbiamo una delle migliori traduzioni in inglese che, iniziata nel 1891, viene terminata nel 1912.

Anna Ettore: Anna Ettore è nata e vive a Milano. Si è laureata in lingue e letterature straniere e lavora come bibliotecaria e interprete. Ha frequentato per alcuni anni la Scuola Forrester di scrittura creativa della Casa Editrice Tranchida. Crede che il suo destino sia diventare scrittrice e nel frattempo si appassiona a culture, lingue e paesi lontani.
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