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Herbert George Wells – Il negozio di magia

Dipinto di Alpini Gionatan

Avevo visto il Negozio di Magia da lontano diverse volte; l’avevo sorpassato una o due volte, una vetrina di piccoli oggetti seducenti, palline magiche, galline magiche, coni meravigliosi, bambole da ventriloquo, materiale per il trucco del cestino, mazzi di carte che sembravano normali, e tutto quel genere di cose, però non avevo mai pensato di entrare fino a un certo giorno in cui, quasi senza preavviso, Gip mi aveva tirato per il dito fino alla vetrina, facendomi così capire che non avrei potuto far altro che portarcelo dentro. Non avevo pensato che quel posto si trovava lì, a dire il vero – una facciata di modeste dimensioni a Regent Street, tra il negozio di fotografie e un posto dove i pulcini si mettono a scorrazzare appena usciti dagli incubatori – ma era proprio lì. Avevo immaginato che fosse più vicino a Piccadilly Circus, o dietro l’angolo verso Oxford Street, o addirittura a Holborn; sempre sulla strada e un po’ inaccessibile, in una collocazione che aveva qualcosa del miraggio; ma adesso era indiscutibilmente qui, e la grossa punta del dito teso di Gip fece un rumore sul vetro.
“Se fossi ricco”, disse Gip, indicando l’Uovo che Scompare, “me lo comprerei. E quello” – era il Bambino Che Piange, Assai Umano – “e quello”, che era un mistero, con scritto vicino, come affermava una bella cartolina, “Comprane una e stupisci i tuoi amici”.
“Tutti quanto,” disse Gip, “scomparirà sotto uno di quei coni, l’ho letto in un libro e là, papi, è il Mezzopenny Che Scompare…, solo che l’hanno messo in questo modo all’insù, così non possiamo vedere come si fa”.
Gip, caro ragazzo, che ha preso da sua madre, non mi propose di entrare in negozio o di farci troppo caso; solo che sapete, in modo inconsapevole, mi spinse il dito verso la porta, rendendo chiaro il suo interesse.
“Quella”, disse, indicando la Bottiglia Magica.
“Se fosse tua?” dissi; a questa domanda promettente lui alzò uno sguardo improvvisamente luminoso.
“Potrei mostrarla a Jessie”, disse, come sempre pensando agli altri.
“Sono meno di cento giorni al tuo compleanno, Gibbles”, dissi, e posai la mano sulla maniglia della porta. Gip non rispose, ma la sua presa si strinse al mio dito e così entrammo nel negozio.
Non era un negozio comune; era un negozio di magie, e tutta la preoccupante priorità che Gip avrebbe dato a dei semplici giocattoli stava cambiando. Lasciò l’onere della conversazione a me.
Era un negozio piccolo e stretto, non molto ben illuminato, e il campanello alla porta risuonò di nuovo con una nota lamentosa mentre la chiudevamo dietro di noi. Per un momento fummo soli e potemmo dare un’occhiata intorno. C’era una tigre di cartapesta sulla scatola di vetro che copriva il basso bancone – una tigre grave e accattivante, che faceva ondeggiare la testa ritmicamente; c’erano parecchie sfere di cristallo, una mano di porcellana che teneva delle carte magiche, una serie di bolle magiche per i pesci, in varie taglie, e un cappello magico sfrontato, che mostrava spudoratamente le sue molle. Sul pavimento c’erano specchi magici; uno per farti sembrare lungo e sottile, uno per gonfiare la testa e far svanire le gambe, e uno per renderti basso e grasso come una palla; e mentre stavamo ridendo di tutto questo, il negoziante – immaginai fosse lui – entrò.
Ad ogni modo, eccolo dietro il bancone – un uomo curioso, giallastro, oscuro, con un orecchio più grande dell’altro e un mento come il rinforzo di uno stivale.
“Come posso avere il piacere di servirvi?” disse, allargando le dita lunghe e magiche sulla scatola di vetro; e fummo di colpo consapevoli di lui.
“Vorrei”, dissi, “regalare al mio ragazzo alcuni semplici trucchi”.
“Prestidigitazione?” chiese. “Qualcosa di meccanico? Da fare in casa?”
“Qualcosa di divertente?” dissi.
“Um!” disse il negoziante e si grattò la testa per un momento come se pensasse. Poi, abbastanza distintamente, estrasse dalla testa una palla di vetro. “Qualcosa di questo tipo?” disse, tenendola davanti a noi.
Il gesto era inaspettato. Avevo visto quel trucco fatto mille volte prima in occasioni di intrattenimento – è parte del repertorio comune dei prestigiatori – ma non l’avevo previsto qui.
“È bello”, dissi, con una risata.
“Vero?” disse il negoziante.
Gip allungò la mano disimpegnata per prendere l’oggetto e si ritrovò soltanto il palmo vuoto.
“È nella tua tasca”, disse il negoziante. Ed era là!
“Quanto viene?” chiesi.
“Non facciamo pagare le palle di vetro”, disse il negoziante educatamente. “Le abbiamo” – ne tirò fuori una dal gomito mentre parlava – “gratis”. Ne tirò fuori un’altra dalla nuca e la mise accanto a quella di prima sul bancone. Gip fissava saggiamente la sua sfera di vetro, poi lanciò un’occhiata indagatrice alle due sul bancone, e finalmente riportò il suo sguardo sul negoziante, che sorrise.
“Puoi avere anche quelle,” disse il negoziante, “e se non ti spiace, anche una dalla mia bocca. Così.”
Gip si consultò silenziosamente con me per un istante, e poi in profondo silenzio mise via le quattro palle, riprese il mio dito rassicurante e si preparò per l’evento successivo.
“Tutti i nostri piccoli trucchi sono fatti in questo modo”, osservò il negoziante.
Risi come chi sta al gioco. “Invece di andare al negozio all’ingrosso” dissi. “Certo, è più economico.”
“In un certo senso” disse il negoziante. “Benché paghiamo alla fine, ma non così tanto come la gente crede… I nostri trucchi più grandi, le nostre disposizioni giornaliere e tutte le altre cose che vogliamo, escono da quel cappello … E signore, mi perdoni, non esiste un negozio all’ingrosso, non per prodotti di magia genuina, signore. Non so se ha notato la nostra insegna – il Negozio di Autentica Magia. Estrasse un biglietto da visita dalla guancia e me lo consegnò. “Autentica”, disse, con il dito sulla parola, e aggiunse: “Non c’è alcun inganno, signore”.
Sembrava che avesse eseguito il trucco piuttosto bene, pensavo.
Si rivolse a Gip sorridendo con notevole affabilità. “Sai, tu sei il tipo giusto di ragazzo.”
Rimasi sorpreso che lo sapesse, perché, per motivi di disciplina, è un segreto anche a casa; ma Gip l’accolse con un silenzio impenetrabile, tenendo saldo lo sguardo sull’uomo.
“Solo il Tipo Giusto di Ragazzo attraversa quella porta.”
E, per mostrarcelo, la porta fu scossa e si sentì debolmente una piccola voce stridula. “Naaaa, voglio andarci , papi, voglio entrarci. Na-a-a-ah!” E poi i toni di un genitore sfinito, che tentava consolazioni e parole propizie. “È chiuso, Edward” disse.
“Ma non lo è “, dissi io.
“Lo è, signore”, disse il negoziante, “sempre – per quel tipo di ragazzino”, e mentre parlava, potevamo intravedere l’altro ragazzo, un viso piccolo, bianco, pallido per il sovraccarico di dolci e cibi troppo saporiti, distorto dalle passioni malvagie, un piccolo egoista spietato, che palpeggiava il portale incantato. “Non è un buon ragazzo”, disse il negoziante, mentre mi mossi, con la mia naturale disponibilità, verso la porta, mentre il ragazzino viziato veniva trascinato via urlante.
“Come ha fatto?” dissi, respirando un po’ più liberamente.
“Magia!” Disse il negoziante, con un gesto noncurante della mano, ed ecco! Scintille di fuoco colorato volarono dalle sue dita e svanirono tra le ombre del negozio.
“Stavi dicendo,” disse, rivolgendosi a Gip, “prima che entrassi, che vorresti una delle nostre scatole “Comprane Una e Stupisci i Tuoi Amici “?”
Gip, dopo un nobile sforzo, disse “Sì”.
“Ce l’hai in tasca.”
E appoggiato al bancone – aveva davvero un corpo straordinariamente lungo – questa incredibile persona produsse l’articolo nella consueta maniera da mago. “Carta”, disse, e tolse un foglio dal cappello vuoto con le pinze; “laccio”, ed ecco che la sua bocca era una scatola di lacci, con cui disegnava un filo interminabile che, dopo aver legato il pacco, tagliò con un morso, e mi parve che inghiottisse la palla di corda. Poi accese una candela vicino al naso di uno dei fantocci da ventriloquo, gli mise un dito (che era diventato rosso come la cera da sigillo) nella fiamma, e quindi sigillò il pacco. “E poi c’era L’Uovo che Scompare “, osservò lui, ne estrasse uno dalla tasca interna del mio cappotto e lo confezionò, e anche Bambino Che Piange, Assai Umano. Passai tutti i pacchetti a Gip non appena fatti, e lui se li strinse al petto.
Disse molto poco, ma i suoi occhi erano eloquenti; come li stringeva tra le braccia era eloquente. Era un gioco di emozioni indicibili. Questa, sapete, era vera magia. Poi, con uno scarto, sentii qualcosa che si muoveva nel mio cappello – qualcosa di morbido che saltellava. Gli diedi una manata e un piccione arruffato – certamente un confederato – fuggì via verso il bancone, e finì, credo, in una scatola di cartone dietro la tigre di cartapesta.
“Tut, tut!” Disse il negoziante, sottraendomi con facilità il mio copricapo; “Uccello sconsiderato, a farsi un nido così!”
Scosse il mio cappello e fece cadere nella mano tesa due o tre uova, una grossa biglia, un orologio, una mezza dozzina di inevitabili palline di vetro e poi un giornale sgualcito e strappato, sempre più cose, parlando tutto il tempo del modo in cui le persone trascurano di spazzolare i loro cappelli dentro e fuori, naturalmente in modo gentile, ma con una certa intenzione personale. “Ci va dentro di tutto, signore … non lei in particolare, naturalmente… quasi tutti i clienti … È incredibile quello che portano con sé…” Il giornale accartocciato si sollevò e fluttuò sul bancone, fino a che non restò quasi nascosto da noi, e poi totalmente nascosto, e la sua voce continuava. “Nessuno di noi sa cosa la parvenza normale di un essere umano possa nascondere, signore. Siamo tutti dunque non migliori di involucri spazzolati, di sepolcri imbiancati …”
La sua voce si fermò – esattamente come quando hai colpito il grammofono di un vicino con un mattone ben mirato, lo stesso silenzio istantaneo e il fruscio della carta si fermò e tutto restò immobile …
“Ha terminato con il mio cappello?” dissi, dopo un intervallo. Non ci fu risposta.
Guardai Gip, e Gip mi fissò, e le nostre figure distorte negli specchi magici, parevano bizzarre e gravi e quiete…
“Penso che andremo, adesso” dissi. “Mi può dire quanto viene tutto questo…?
“Senta,” dissi poi, su una nota piuttosto forte, “vorrei il conto, e il mio cappello, per favore”.
Parve di sentire un sospiro da dietro la pila di carta …
“Guardiamo dietro al bancone, Gip”, dissi. “Ci sta prendendo in giro.”
Guidai Gip intorno alla tigre con la testa oscillante, e cosa pensate che ci fosse dietro al bancone? Proprio nessuno! Solo il mio cappello sul pavimento, e un comune coniglio bianco da prestigiatore con le orecchie abbassate e perduto in meditazione, che sembrava stupido e sgualcito come solo un coniglio di prestigiatore può sembrare. Recuperai il mio cappello, e il coniglio fece un saltello allontanandosi da me.
“Papi!” disse Gip, con un colpevole sussurro.
“Che cosa c’è, Gip?” chiesi.
“Mi piace questo negozio, papi.”
“Anche a me piacerebbe,” dissi fra me e me, “se il bancone non si estendesse improvvisamente per allontanare la gente dalla porta”. Ma non richiamai l’attenzione di Gip. “Micio!” disse, allungando una mano verso il coniglio che usciva passandoci davanti; “Micio, fai una magia per Gip!” I suoi occhi lo seguirono mentre si strizzava in una botola che certamente non avevo visto un attimo prima. Poi questa porticina si aprì di più, e l’uomo con un orecchio più grande dell’altro riapparve. Stava ancora sorridendo, ma il suo sguardo mi incontrò con qualcosa tra il divertimento e la sfida. “Le piacerebbe visitare il nostro show room, signore,” disse, con innocente disinvoltura. Gip mi tirò il dito. Guardai il bancone e incontrai nuovamente gli occhi del negoziante. Stavo cominciando a pensare che quella magia era un po’ troppo autentica. “Non abbiamo molto tempo” dissi. Ma in qualche modo ci trovammo all’interno dello show room prima di finire di dirlo.
“Tutte merci della stessa qualità”, disse il negoziante, sfregandosi le mani flessibili, “e questo è il meglio. Non c’è niente qui che non sia un’autentica magia, e completamente bizzarra e garantita. Ma mi scusi, signore.”
Lo sentii tirare su qualcosa che si aggrappò alla mia manica, e poi vidi che teneva un piccolo demone rosso per la coda – la piccola creatura mordeva e combatteva e gli attaccava la mano – e in un attimo lo gettò incurante dietro al bancone. Senza dubbio la cosa era solo una figurina di gomma ritorta, ma per un momento…! E il suo gesto era esattamente quello di un uomo che si occupava da un po’ di piccoli morsi di parassiti. Guardai Gip, ma Gip stava guardando un cavallo a dondolo magico. Ero contento che non avesse visto quella cosa. “Senta un po’”, dissi a mezza voce, indicando Gip e il demone rosso con gli occhi rossi, “non ha molte cose di questo genere, vero?”.
“Non è roba nostra! Probabilmente se lo è portato con sé”, disse il negoziante – anche lui sottovoce, e con un sorriso più abbagliante che mai. “È stupefacente cosa la gente porta con sé senza farsi scrupoli!” E poi a Gip: “Vedi qualcosa che ti piace qui?”
C’erano molte cose che a Gip piacevano, lì.
Si rivolse a quell’incredibile commerciante con fiducia e rispetto. “È una spada magica?” chiese.
“Una spada-giocattolo magica: non si piega, non si rompe e non taglia le dita, rende il suo padrone invincibile in battaglia contro chiunque sia sotto i 18 anni. Da mezza corona a sette e sei pence, a seconda delle dimensioni. Queste vesti sulle carte sono per giovani cavalieri erranti e sono molto utili: lo scudo per la protezione, i sandali per la velocità, e un elmo per l’invisibilità “.
“Oh, papà!” Gip era a bocca aperta.
Cercai di scoprire quanto costassero, ma il negoziante non mi prestava attenzione. Ora aveva Gip; lo aveva separato dal mio dito; si era imbarcato nell’esposizione di tutti i suoi sconvolgenti magazzini, e niente lo avrebbe fermato. In quel momento lo guardavo con una certa sfiducia e qualcosa di molto simile alla gelosia, perché Gip stava stringendo in mano il dito di costui, come di solito stringeva il mio. Senza dubbio il tizio era interessante, pensavo, e aveva un sacco di cose bizzarre parecchio interessanti, roba posticcia ma realmente buona, eppure…
Giravo loro intorno, dicendo molto poco, ma tenendo d’occhio questo tizio prestidigitale. Dopo tutto, a Gip piaceva. E senza dubbio quando fosse arrivato il momento di andare, avremmo potuto farlo senza problemi.
Era un luogo lungo e scomposto, quello show room, una galleria interrotta da banchetti e bancarelle e pilastri, con archi che conducevano ad altri settori, in cui gli assistenti dall’aspetto più bizzarro ti guardavano e fissavano, tra specchi intricati e tendaggi. Questi erano così complicati che non ero in grado di capire da quale porta fossimo venuti.
Il negoziante mostrava a Gip treni magici che funzionavano senza vapore o meccanismi – bastava fissare i segnali -, e poi alcune scatole di gran valore piene di soldati che prendevano vita immediatamente non appena si toglieva il coperchio e disse – non ho un orecchio molto pronto ed era un suono distorto, ma Gip, che ha l’orecchio di sua madre, lo capì immediatamente. “Bravo!” disse il negoziante, rimettendo gli omini nella scatola senza tante storie e consegnandola a Gip. “Adesso”, disse il negoziante, e in un attimo Gip li riportati tutti in vita.
“Prenderai la scatola?” chiese il negoziante.
“Prenderemo quella scatola,” dissi io, “a meno che non ci faccia pagare il suo valore totale. In questo caso avrebbe bisogno di un Garante per la fiducia …”
“Santo cielo! No!” E il negoziante rimise via i piccoli uomini, chiuse il coperchio, agitò la scatola in aria, ed era lì, avvolta in carta marrone, legata e – con sopra il nome e l’indirizzo di Gip!
Il negoziante rise al mio stupore.
“Questa è la magia autentica”, disse. “Quella vera.”
“È un po’ troppo autentica per il mio gusto”, risposi ancora.
Dopo di che si mise a mostrare trucchi a Gip, trucchi strani, e ancora più strano era il modo in cui li faceva. Li spiegava, li rovesciava al contrario, e il mio caro ragazzo annuiva con il suo testone in modo molto compito.
Non partecipai come avrei potuto. “In un baleno!” disse il Magico Venditore, e poi arrivava il chiaro, piccolo “In un baleno!” del ragazzo. Ma ero distratto da altre cose. Mi stavo rendendo conto di quanto fosse enormemente bizzarro questo posto; era, per così dire, inondato da un senso di stranezza. C’era qualcosa di un po’ strano perfino nelle finiture, anche sul soffitto, sul pavimento, sulle sedie distribuite in modo casuale. Avevo la strana sensazione che ogni volta che non le guardavo dritto, si allontanassero a poco a poco, si muovessero e giocassero a nascondino alle mie spalle. E la cornice aveva un disegno serpentino con maschere – maschere similmente troppo espressive per quell’intonaco.
Poi, improvvisamente, la mia attenzione fu catturata da uno degli assistenti dall’aspetto insolito. Era un po’ lontano e evidentemente ignaro della mia presenza – lo vedevo di tre quarti al di sopra di un mucchio di giocattoli, attraverso un arco – e sapete com’è, era appoggiato a un pilastro in modo indolente, ma facendo delle sue fattezze le cose più orribili! In particolare la cosa più orrenda che faceva era con il naso. Lo fece proprio come in un momento di pigrizia volesse svagarsi. Inizialmente era un naso corto, a palla, e poi improvvisamente lo sparò fuori come un telescopio, e questo volò fuori e sempre più sottile finché non parve una frusta rossa, lunga e flessibile. Era come essere in un incubo! Continuava a farlo e lo lanciava come un pescatore a mosca che lancia la sua esca.
Sperai immediatamente che Gip non lo vedesse. Mi voltai, e Gip era piuttosto preso con il negoziante e non pensava a niente di male. Sussurravano insieme e mi guardavano. Gip era in piedi su un piccolo sgabello, e il negoziante teneva in mano una sorta di grande tamburo.
“Nascondino, papi!” gridò Gip. “Tu sei Lui!”
E prima che potessi fare qualcosa per impedirlo, il negoziante aveva battuto il grande tamburo su di lui. Vidi immediatamente cosa accadde. “Lo tolga”, esclamai, “in questo istante! Spaventerà il ragazzo, lo tolga!”
Il negoziante dalle orecchie diseguali lo fece senza una parola e tese il grande cilindro verso di me per mostrarne l’interno vuoto. E lo sgabellino era vacante! In un istante il mio ragazzo era completamente scomparso …?
Conoscete, forse, quella cosa sinistra che esce dall’invisibile come una mano e vi afferra il cuore. Sapete che vi porta via il buonsenso consueto e vi lascia tesi e deliberati, né lenti né affrettati, né arrabbiati né impauriti. Così accadde a me.
Mi avvicinai al negoziante sorridente e diedi un calcio allo sgabello.
“Fermi questa follia!” dissi. “Dov’è il mio ragazzo?”
“Vede” disse, continuando a mostrare l’interno del tamburo, “non c’è inganno …”
Allungai la mano per afferrarlo, e mi sfuggì con un movimento deciso. Cercai di nuovo di agguantarlo, ma lui si voltò e aprì una porta per scappare. “Fermo!” dissi, e lui rise allontanandosi. Gli balzai dietro – in una buia oscurità.
Che tonfo!
“Dio mi benedica! Non l’ho vista arrivare, signore! ”
Mi trovavo in Regent Street e mi ero scontrato con un operaio dall’aspetto dignitoso; alla distanza di una iarda, magari un po’ perplesso, c’era Gip. Produssi una specie di scusa, e Gip si voltò e venne da me con un sorriso luminoso, come se per un attimo mi avesse perduto.
E aveva quattro pacchi tra le braccia! Si garantì il possesso immediato del mio dito.
Per un momento rimasi senza parole. Mi guardai attorno per vedere la porta del negozio magico e – ecco…, non c’era! Non c’era porta, negozio, niente, solo il comune pilastro tra il negozio dove vendono le fotografie e la vetrina con i pulcini …!
Feci l’unica cosa possibile in quel tumulto mentale: camminai dritto verso il paracarro e sollevai l’ombrello per chiamare un taxi.
“Carrozza”, disse Gip, al culmine dell’esultanza.
Lo aiutai ad entrare in vettura, ricordandomi il mio indirizzo con un certo sforzo e salii anch’io. Qualcosa di strano si manifestò nella mia tasca posteriore del cappotto, tastai e scoprii una palla di vetro. Con un’espressione stizzita la gettai in strada.
Gip non disse nulla.
Per un po’ nessuno di noi parlò.
“Papi!” disse Gip, finalmente. “Quello sì che era un negozio!”
Cercavo di capire come l’intera cosa gli fosse parsa. Sembrava assolutamente incolume – finora tutto bene; non era né spaventato né disperato, era semplicemente molto soddisfatto del divertimento del pomeriggio, e tra le braccia teneva le quattro scatole.
Accidenti! Cosa poteva esserci dentro?
“Um!” Ho detto. “I ragazzini non possono andare in negozi come quello tutti i giorni”.
Stette a sentire con il suo solito stoicismo, e per un momento mi dispiacque essere suo padre e non sua madre, non potendo così, improvvisamente, coram publico, baciarlo lì dentro la carrozza. Dopo tutto, pensai, tutta la cosa non era stata così male.
Ma è stato solo quando abbiamo aperto i pacchetti che ho davvero cominciato a sentirmi rassicurato. Tre di essi contenevano scatole di soldati, soldatini di piombo piuttosto ordinari, ma di qualità così buona da rendere Gip totalmente dimentico del fatto che originariamente questi pacchetti erano stati Trucchi Magici dell’unico Tipo Autentico, e il quarto conteneva un gattino, un piccolo gattino bianco vivo, bianco, in ottima salute, con un buon appetito e temperamento.
Avevo vissuto questo spacchettamento con una sorta di sollievo provvisorio. Stetti a girare in giardino inconsapevole del tempo che passava…
Ciò accadde sei mesi fa. E ora sto cominciando a credere che sia tutto a posto. Il gattino aveva solo la magia naturale comune a tutti i gattini, e i soldati sembravano il battaglione stabile e ordinato che qualunque colonnello desidererebbe. E Gip…?
Un genitore intelligente capirà che devo muovermi con cautela con Gip.
Ma un giorno sono arrivato a questo. Ho detto: “Ti piacerebbe che i tuoi soldati prendessero vita, Gip, e marciassero da soli?”
“I miei lo fanno”, disse Gip. “Devo solo pronunciare una parola che so io prima di aprire il coperchio”.
“Allora marciano da soli?”
“Oh, certo, papi, non mi piacerebbero se non lo facessero”.
Non mostrai alcuna sorpresa, e da allora ho avuto occasione di capitare in camera sua, una volta o due, senza preavviso, quando i soldati erano lì, ma finora non ho mai trovato che facessero alcunché di magico. È così difficile da spiegare.
C’è anche una questione finanziaria. Io ho l’abitudine incurabile di pagare i conti. Sono stato più e più volte a Regent Street, cercando quel negozio. Sono incline a pensare, anzi, che in quel caso l’onore è soddisfatto e che dal momento che il nome e l’indirizzo di Gip sono noti a quelle persone, posso benissimo lasciare che siano loro, chiunque siano, a inviare il conto quando è loro comodo.

Traduzione di Silvia Accorrà

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