A storcere il naso fu soltanto una signora anziana. Credo si trattasse di una ex contadina, cresciuta in una di quelle cascine della Pianura padana dove gli inverni sembrano interminabili. Gli altri passeggeri, due ragazze, da poco maggiorenni, e un ragazzo, alto, dall’aria allampanata, abituato ad andare dove soffia il vento, non avevano fatto alcuna obiezione. Anzi, sembravano contenti.
«Guardi che questo scompartimento è tutto occupato» disse non appena vide la coppia di attempati signori con il carico di valige e la cagnetta di piccola taglia tenuta al guinzaglio.
«Mi dispiace, ma abbiamo la prenotazione. I nostri posti sono il 26 e il 28 di questo scompartimento» disse l’uomo senza scomporsi.
«Ne è sicuro?».
«Certamente».
«Ma… è anche sicuro che può portare il cane con sé?» chiese poi la donna alterando i lineamenti del viso in una espressione scimmiesca.
«Guardi, ho pagato anche il biglietto».
«Chiederò al controllore, sa, e se non è così, voi qui non entrerete, per nessun motivo».
«Faccia come crede, signora. Nessuno glielo impedisce».
«Il mio posto è sul lato del finestrino, per fortuna» aggiunse poi l’anziana girando la testa verso gli altri passeggeri, come a voler chiedere: “Dite qualcosa anche voi, Santo Iddio! Non devo lamentarmi soltanto io”.
«Buon per lei» rispose l’uomo. La moglie faceva fatica a trattenersi. Lo si notava dalle espressioni mutevoli del viso.
«Posso accarezzarlo?» chiese la ragazza che era seduta all’altro lato finestrino, facendo sprofondare l’anziana donna nella palude della solitudine. Il treno procedeva a velocità sostenuta e il sole di fine luglio riverberava sopra i vetri e i binari.
«Certo» rispose il proprietario avvicinando la cagnetta verso la ragazza
«Ma come sei bella!» disse l’altra ragazza accarezzandola sotto il collo e sulla testa.
«Come si chiama?» chiese il ragazzo.
«Lia».
«E quanti anni ha?».
«Quasi tredici».
«È un po’ vecchiotta. Quasi ottant’anni, paragonati all’età dell’uomo».
«Sì, ma è sana» rispose il proprietario. L’anziana continuava a sbruffare, poi sbottò: «Il controllore, quando arriva questo benedetto controllore? Io qui non ci sto un attimo in più!». Solo spallucce come risposta da parte degli altri passeggeri.
«Come si chiama?» chiese poi la ragazza dai capelli chiari e in pantaloncini jeans.
«Lia, si chiama Lia».
«Bel nome».
«Grazi» rispose la proprietaria
Più i ragazzi evidenziavano affetto verso la cagnetta, più l’anziana si infastidiva e sbruffava, e li guardava di sottecchi.
Un quarto d’ora dopo arrivò il controllore.
«Biglietti, prego» disse con la sua voce dal forte accento laziale.
«Mi scusi, lo sa che questi signori hanno un cane?» disse indicando la coppia, che intanto aveva preso posto sui sedili vicino alla porta, con la cagnetta accucciata ai loro piedi.
«Sì, e vedo anche che hanno pagato il biglietto».
«Io non viaggio in uno scompartimento con un cane» aggiunse l’anziana innervosendosi.
«Ha qualche forma di allergia o ha particolarmente paura dei cani, signora?».
«Né l’una né l’altra cosa. Semplicemente non li sopporto. E non è neanche igienico. Veda quindi di fare qualcosa».
«Vedo se riesco a trovarle una sistemazione in un altro scompartimento» rispose con tono garbato.
«No, no. Io di qua non mi muovo. Sono loro che devono cambiare» rispose con la rigidità dell’acciaio.
«Signori, se vi trovo un altro scompartimento con passeggeri cui il cane non dà fastidio, vi sposterete». La proprietaria stava rispondendo che anche lei non aveva nessuna intenzione di spostarsi, quando sentì il gomito del marito premerle sul costato, a voler significare: “Lascia stare, non abbiamo molte carte da giocarci. Le regole non sono per niente chiare. Non si sa mai se far viaggiare con il cane sul treno sia un diritto o una gentile concessione”.
«Bene, se ci trova un altro scompartimento per noi non ci sono problemi» rispose poi l’uomo rivolto al controllore. L’uomo delle ferrovie ritornò dopo alcuni minuti dicendo che non era riuscito a trovare due posti, ma che nello scompartimento a fianco c’era un giovane disposto a fare cambio con l’anziana che non tollerava il cane. Non fu facile convincere l’anziana donna ad accettare, nonostante le argomentazioni dei giovani cui faceva piacere fare il viaggio in compagnia di quella simpatica cagnetta dall’aspetto docile e particolarmente sensibile alle carezze. I quasi novecento chilometri da Milano a Taranto furono letteralmente divorati dalla Freccia Rossa, che procedeva incurante delle pendenze e delle inclinazioni dei binari. La sorpresa che attendeva i due attempati viaggiatori una volta scesi a Taranto fu enorme.
«I passeggeri provenienti da Milano e che proseguono verso Crotone sono pregati di recarsi sul piazzale di fianco alla stazione, parcheggio autobus, per proseguire il viaggio». I due si guardarono negli occhi perplessi.
«Mi scusi, ma non c’è un treno per Crotone?» chiese l’uomo a un operaio addetto alla manutenzione dei treni.
«No, li hanno soppressi. Bisogna proseguire con il pullman. Da Taranto a Metaponto solo autobus. Si viaggia bene, sa?». L’uomo lo ringraziò e si recò in compagnia della moglie verso il pullman.
«E voi?» disse con tono burbero l’autista del pullman non appena notò la coppia con il loro carico di bagagli e la cagnetta tenuta al guinzaglio.
«Dobbiamo proseguire per Crotone».
«E il cane?».
«Viaggia con noi. Abbiamo pagato il biglietto».
«Pagato il biglietto…!?».
«Sì, può controllare se vuole» disse la donna mostrandogli il prezioso documento.
«Ma l’agenzia che ha emesso il biglietto non gliel’ha detto che gli animali non sono ammessi sugli autobus?».
«No, assolutamente. Le ribadisco che abbiamo pagato il biglietto per il cane e nessuno ha detto ma» rispose la donna
«Biglietto o no, sugli autobus non sono ammessi gli animali».
«Quindi?» chiese la donna.
«Voi potete salire, ma il cane no».
«Nooh! E dove dovremmo lasciarlo?» chiese poi ironica.
«Questi non sono fatti miei, il cane non può salire».
«Ci sta dicendo, quindi, che non c’è modo di proseguire per Crotone con il cane?» disse il proprietario.
«Esattamente».
«Quindi, dovremmo ritornarcene a Milano» commentò ironico l’uomo.
«Bravo, vedo che ha capito. Oppure lasciate qui il cane e proseguite con il pullman. Si viaggia bene, sa. C’è l’aria condizionata, la televisione, la filodiffusione e…».
«Qui, qui sul piazzale?» lo interruppe il proprietario, sempre con ironia.
«Sì, qui, non impiegherà molto ad unirsi alle dozzine di cani randagi che qui proliferano come funghi. La Puglia è la regione con la percentuale più alta di randagismo».
«Vedo che oltre a fare l’autista ha anche l’hobby della statistica e di fare il consulente».
«Faccio del mio meglio».
«Senta, è una cagnetta di piccola taglia, docile, che non dà nessun fastidio. Ci lasci salire, per favore» chiese poi la proprietaria con fare supplichevole, non realizzando altra via d’uscita. L’autista pensò un po’, poi fece segno all’uomo di avvicinarsi. Gli occhi della coppia si illuminarono pensando a un compromesso all’italiana.
«Lo vuole un consiglio?». Il proprietario accennò che era tutto orecchie. «All’angolo c’è un bar, vada a bere un caffè. Fuori dalla porta c’è un signore, lasci a lui il cane e lei beva tranquillamente il caffè. Una piccola mancia, uno o due euro, e quando ritorna il problema è bello e risolto».
»Come sarebbe a dire?» chiese il proprietario del cane, fingendo di non aver capito.
«Sarebbe a dire che il signore si prenderà cura del cane e voi potete salire sull’autobus e proseguire».
Il proprietario era esterrefatto. Non riusciva a credere alle sue orecchie. Riavutosi da quel colpo di sciabola disse: «Tenga i suoi consigli per sé, noi non ne abbiamo bisogno. E ora, se non le dispiace, mi lasci entrare».
«Ma allora non ha capito?» rispose con un ghigno sulle labbra. «Il cane non sale, e non vi accetto nemmeno tutti i bagagli che avete, se vi ostinate a non voler capire».
I proprietari si resero conto che sarebbe stato inutile continuare la discussione con quell’uomo che considerava gli animali esseri da macello, e si recarono di nuovo alla stazione, dal dirigente principale, per chiedere spiegazioni e presentare una formale protesta per il disagio che era stato causato loro. Solo scuse generiche e strette di spalle da parte dell’alto dirigente di Trenitalia, che si ostinava a capire Roma per Toma, e nient’altro. Le ragioni dei proprietari sembravano essere scivolate via come acqua sopra un terreno incerato. Non gli restò altro da fare, alla fine, che ripiegare su un tassista, un abusivo per giunta, visto che la mezza dozzina di suoi colleghi forniti di regolare licenza si era rifiutata di accettare l’animale sul mezzo. Il costo della corsa Taranto Metaponto, da dove poter proseguire con un treno accumulando ritardi biblici fino a Crotone, fu una vera doccia fredda, ma se non altro la cagnetta aveva salvato la pelle.
FINE