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Silvia Accorrà – Pomerania

Dipinto di Alpini Gionatan

Mentre ci inerpichiamo verso nord, verso le Alpi, tastando la strada di Grenoble per entrare a Lione e poi ancora su, a Digione, circondando Parigi non troppo da lontano verso Calais, penso che
Sono stanca.
Mio zio inizia sempre le frasi a metà. Questo rende difficile perfino seguire il paesaggio, perché entrano informazioni da diversi livelli e pensieri e punti di vista – riferisce spesso quelli altrui; e allora, mentre cerco di distrarmi dalla noia e dalla frammentaria conversazione (il suo amico, seduto nel posto del passeggero, non fa che dare conferme con la testa, o con uno schiarimento di voce) – allora penso alla Pomerania.
L’altra sera parlavo con una mia amica e le dicevo che mio zio mi ha chiesto di accompagnarlo in Inghilterra per vendere due cani con la lingua viola.
Dei chow chow?, mi ha chiesto lei. No, sono dei volpini, ho detto.
Ah, volpini di Pomerania.

E la cosa è finita lì.
Abbiamo visto l’Isère grigio in un fondovalle grigio circondato da montagne solide come la loro fama – grigie, appunto, e fredde; perfino la schiuma del fiume era grigia.
Così ho iniziato a pensare alla Pomerania in un giorno di sole. Alle monumentali chiese rosa e color mattone e ai castelli e ai ponti che punteggiano il nulla delle pianure, e all’idea che mi sono fatta che in Pomerania ci sia una luce particolare, come un po’ baltica: quindi senza nessuna pietà per le temperature corporee. Guardo i cuccioli, che effettivamente sono delle masse di pelo e si capisce dove sia la testa solo quando li si vede mangiare.
Purtroppo mio zio tace poco, quindi alterno gli snodi autostradali – dove anche il suo amico commenta per evitare che ci perdiamo – a visioni più o meno idealistiche della Pomerania. L’autostrada francese è rumorosa quanto quella tedesca, lo è per lunghi tratti: questo copre un po’ la conversazione e gli occasionali guaiti dei cani, mi permette di assopirmi e, quando mi sveglio dai brevi sonnellini, sono sempre altrove: nel nord della Polonia. Vedo i castelli granitici medioevali e monumentali, i residuati bellici a testimoniare, le ardite nuove strutture di vetro, e il sole che accarezza radente le lagune e i canali d’acqua, fitti e brillanti. Paiono i Paesi Bassi. I villaggi polacchi si specchiano duri e graziosi allo stesso tempo in un’acqua limpida e molto fredda. Non vedo la tangenziale di Digione, né quella di Lille. Non ci fermiamo mai, e non ho idea di come sia stato il percorso fino ad ora. Per non perdere tempo, io ho viaggiato in Pomerania mentre la Francia mi accompagnava verso nord a bordo di un veicolo. La sosta è per noi più che per i cani, che ho provveduto a dissetare e sfamare durante il viaggio. Vorrei dire due parole ma non so che cosa dire; quindi faccio un paio di osservazioni sul ferry boat che prenderemo a Calais. Il mare sarà tranquillo, secondo previsione; ma tutto è ancora grigio. Anche qui.
Quando saremo arrivati a destinazione avrò meno tempo, spazio e visione della familiare regione polacca, perché mi chiameranno in causa per fare da interprete.
Però accidenti che viaggio di andata – almeno quello per certo: due destinazioni e due percorsi diversi nelle stesse ore. È molto bello talvolta poter essere due.

Liberamente ispirato a una vicenda raccontata da Anna Ettore

Silvia Accorrà: Silvia Accorrà è poeta, narratrice, fotografa. Ha pubblicato tre sillogi di poesia, "Mezzoforte" (Cultura Duemila, 1991), "Pesce di terra" (Lietocolle, 1995), "Città non nostre" (Libreria Croce, 2007) e due raccolte di racconti, "Rosso nucleare" (Atì 2008) ed "Entropie" (Calibano, 2023). Ha pubblicato una trilogia di romanzi di ambientazione giapponese, "Tokyo Love" (Damiani, 2014), "Hikari" (Prospero, 2017) e "Pareti sottili" (Prospero, 2019). Ha inoltre partecipato ad alcune antologie poetiche e narrative. Ha avuto una personale di fotografia nel 2006, una nel 2010 e una nel 2018. Lavora principalmente come traduttrice, ma anche come insegnante di lingua. Vive a Milano dalla nascita (1969), ma il suo cuore è altrove.
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