Quella dello scrittore britannico Ian Watson è hard science-fiction. Talvolta non facile e leggera. Anzi, piuttosto sofisticata, colta e piena di riferimenti (citazioni indirette). Il taglio narrativo è chirurgico. Entra nella piaga della carne senza scomporsi. Chirurgica e glaciale. Cinico, ma a tratti anche ironico.
I racconti di questa antologia sono tutti buoni, ma in particolare i primi due e gli ultimi due.
Il primo, quello che dà il titolo all’antologia, è incentrato su un classico tema fantascientifico: la macchina del tempo, ma con un taglio originale e… duro da digerire. Leggere per credere.
Il secondo, Il dio Sole, è più un horror che sf: una rivisitazione del sacrificio umano azteco al sole in uno scenario apocalittico post-industriale, un mondo al termine dove si cerca di catturare l’ultimo raggio di sole. Agghiacciante e senza ritorno. Devastante.
Mentre gli ultimi due, rispettivamente: L’occhio della rana e Una sola parola, sono incursioni in territori inconsueti (pianeti), in cui la nostra percezione subisce uno scacco con il tempo e il linguaggio.
Anche gli altri racconti hanno spunti originali, come la quasi favola Lo sgabello di legno di stella, il divertente L’anima nella boccia di vetro e il catastrofico Le barriere catastrofiche.
Un’antologia splendida, veramente interessante. Ottima la traduzione di Michelangelo Spada, contrassegnata da numerose note a pié di pagina.
Un volumetto da recuperare.