Pubblicato per la prima volta nel 1841, I delitti della Rue Morgue è il primo vero e proprio racconto giallo di stampo poliziesco, nel quale un investigatore esterno alle forze dell’ordine indaga su un efferato omicidio con annesso il classico mistero della camera chiusa, che diede il la, di lì a qualche decennio, a schiere di scrittori, da Alexandre Dumas (con I mohicani di Parigi) a Jules Verne (con Un dramma in Livonia) e, nell’ambitro del mystery vero e proprio, da Edgar Wallace a John Dickson Carr.
Una donna è barbaramente assassinata e decapitata, la figlia viene addirittura spinta a forza nella canna fumaria di un camino e la stanza in cui è avvenuto il duplice omicidio è chiusa a chiave dall’interno e inaccessibile dall’esterno. Non mancano i particolari raccapriccianti e le testimonianze più o meno credibili di chi ha udito le urla delle vittime e di quelli che parrebbero essere i due assassini. La soluzione, almeno per chi già non conosca la trama, è assolutamente inaspettata.
Edgar Allan Poe crea in questo lungo racconto l’investigatore Auguste Dupin (che ispirò Arthur Conan Doyle nella creazione di Sherlock Holmes) e il suo assistente-narratore (diretto ascendente del dottor John Watson) e con essi, a propria insaputa, il genere giallo. Una storia carica di suspense nonostante il tono asciutto e raziocinante, preceduto da alcune pagine ricche di considerazioni sulla logica, un vero e proprio breviario per gli scrittori di gialli. Non un elemento è lasciato al caso in una narrazione realistica, lontana da quelle suggestive cui lo scrittore e giornalista statunitense ci aveva abituati, ma non priva di brividi di orrore.
Una pietra miliare della narrativa moderna.