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Full Metal Jacket

Il film segue il viaggio di un gruppo di giovani marines americani, dalla brutalità dell’addestramento militare al fronte del Vietnam. Diviso in due parti nettamente distinte ma complementari, affronta il tema della disumanizzazione dei soldati, costretti a rinunciare alla propria identità per diventare macchine da guerra. Nel caos del conflitto, il protagonista, Joker, affronterà l’assurdità della violenza e l’inutilità del combattimento.

Dietro la patina di un film di guerra, Stanley Kubrick firma un ritratto spietato e antimilitarista che denuncia la follia della guerra e di chi la sostiene, conducendoci in un viaggio infernale che parte dall’addestramento dei marines per arrivare alla cruda realtà del conflitto in Vietnam (ma nulla cambierebbe se si trattasse di qualsiasi altro conflitto).
Con la sua regia chirurgica e perfezionista, Kubrick costruisce un’atmosfera claustrofobica, specialmente nella prima metà del film, ambientata nel campo d’addestramento. Qui spicca la figura del sergente Hartman, interpretato magistralmente da R. Lee Ermey (un vero istruttore militare), che incarna la brutalità del sistema militare, un apparato che non addestra uomini, ma automi, esseri privati di qualsiasi individualità. Hartman, però, non è che il simbolo di una macchina che non tollera l’umanità, e il tragico destino di Palla di Lardo (magistralmente interpretato da Vincent D’Onofrio) rappresenta il primo, grande pugno allo stomaco: l’addestramento non serve a creare eroi, ma a distruggere l’anima dei soldati.
La solidità della sceneggiatura, scritta dallo stesso Kubrick insieme a Michael Herr e Gustav Hasford, è evidente nella coerenza tematica che attraversa l’intera pellicola. Pur non trattandosi di un film programmatico, ogni scena è funzionale a mostrare come la guerra riduca l’uomo a semplice ingranaggio di un meccanismo votato alla morte. I dialoghi sono secchi, spietati e intrisi di un amaro sarcasmo che sottolinea l’assurdità della situazione.

Il ritmo cambia radicalmente nella seconda parte, quando si passa dalle geometrie opprimenti dell’addestramento agli spazi aperti del Vietnam, che però non offrono alcun respiro: la violenza, ormai interiorizzata dai soldati, permea ogni loro azione e reazione.
La fotografia di Douglas Milsome e l’uso accurato dei colori enfatizzano la desolazione emotiva e morale dei protagonisti, con tonalità fredde e cupe che suggeriscono l’assenza di qualsiasi eroismo o gloria. La colonna sonora, che alterna brani pop dell’epoca a composizioni originali, crea un contrasto stridente tra il mondo reale e il caos bellico, rendendo ancora più evidente la follia della guerra.
Anche dal punto di vista attoriale il film non delude: Matthew Modine, nei panni di Joker, riesce a esprimere tutta l’ambiguità di un soldato che cerca di mantenere un briciolo di coscienza in un contesto che annienta qualsiasi valore umano, e ci guida attraverso l’orrore rimanendo un testimone impotente, senza mai trasformarsi in eroe. Del resto, che cosa c’è di eroico nel partecipare a un massacro?

Kubrick non mostra la guerra come un palcoscenico per gesti gloriosi; al contrario, ne evidenzia il lato più grottesco e insensato. In tal senso, Full Metal Jacket non è solo un film sulla guerra: è un film contro la guerra. La violenza non è spettacolarizzata, ma ritratta con un realismo  talmente brutale da annichilire lo spettatore attonito, quasi complice di fronte all’assurdità del conflitto.
Un’opera di rara intensità che, nonostante il passare degli anni, resta un imprescindibile monito sulla condizione umana e sulle follie del potere. Da vedere e rivedere, soprattutto nei grami tempi bellicisti che stiamo attraversando.

Heiko H. Caimi: Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.
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