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Paolo Volponi – Memoriale

Albino Saluggia, assunto in una grande fabbrica del Norditalia come risarcimento per la sua prigionia durante la Seconda guerra mondiale, spera che il nuovo ambiente possa cambiare radicalmente la sua vita e guarirlo da quelli che considera i suoi mali. Ma la convivenza con una madre inibente, la tubercolosi, l’omosessualità latente e l’incapacità di socializzare lo renderanno vittima di un presunto complotto da parte dei medici dell’azienda, inteso ad allontanarlo dalla fabbrica e a farlo sentire sempre più emarginato e discriminato. Quando si convince che anche la complicità degli altri rappresentanti il potere costituito (il parroco, il maresciallo dei carabinieri, la madre stessa) sia comprovata, non gli resterà che una passiva ribellione.
In un soliloquio intimo e poetico, in cui i dialoghi affiorano come isole temporanee, risaliamo le chine della psicologia del protagonista, vittima e carnefice del proprio stato, fino al delirio e al riscatto finale.

Volponi è autore di estrema raffinatezza, e ci immerge completamente nei pensieri di Saluggia, emblematici di un’alienazione che può solo essere acuita e portata alle sue estreme conseguenze da un ambiente come la fabbrica, qui ispirata al modello comunitario ideato da Olivetti (alle cui dipendenze lo stesso Volponi lavorò per lungo tempo): apparentemente moderna, con a cuore la salute e il benessere degli operai, ma paradossalmente ancora più concentrazionaria di quella tradizionale. Quando la fabbrica ti accudisce, finisce per non esistere altro che la fabbrica. Ci si può persino spingere a pensare a un uomo non più fatto a somiglianza di Dio, nella sua terra; ma più somigliante e legato alle macchine, addirittura a una razza diversa.
Come Volponi fa dire al personaggio di Grosset, che all’azienda finirà per dare anche la vita, finché le fabbriche non saranno di tutti non ci si lavorerà mai in pace. E le gerarchie spesso inafferrabili che la governano ne sono l’emblema. Del resto, finché assumeremo come “normalità” quella stabilita dai ritmi e dalle regole della fabbrica, non potremo che sentirci perseguitati, come Saluggia, e desiderare di ribellarci a una condizione disumana e contraddittoria, anzi, ai valori stessi che la producono; pur sapendo che una ribellione non esclusivamente interiore può portare soltanto all’estremo rifiuto: il licenziamento.

Memoriale è un romanzo che non consente una lettura superficiale, affrettata, veloce; ma ci lascia, proprio per questo, un’impronta indelebile.

Heiko H. Caimi: Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.
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