Non immaginavo che quando mia madre fosse morta, la sua fossa
sarebbe stata scavata nel mio corpo. E quando sono spossata,
lei è qui che si veste dietro la porta dell’armadio,
aggancia il suo reggiseno a bustino di cotone,
quindi da dietro fa scivolare le coppe in avanti,
chinandosi e sistemando ognuno dei pesanti seni,
aggiustando le spalline nell’incavo delle spalle,
come fossero redini per un viaggio. Si passa sulle labbra
il Fire & Ice. Tira fuori con la pala la macchina dalla neve.
Quante pinte di Four Roses ha fatto scivolare
in sacchetti marroni della giusta dimensione? Quante casse
di Pabst Blue Ribbon ha accatastato sul bancone?
Tutte le banconote spiegazzate, impregnate di odori
delle vite che le avevano maneggiate, del loro sudore,
di cipolle e grasso, legname e candeggina — aperto
il palmo ha levigato una per una. Poi
le ha sovrapposte con precisione, riportando ordine.
E alle dieci, dopo aver conteggiato il fondo cassa,
abbassate le saracinesche, si liberava del sottopancia, scioglieva
le briglie. Cuoceva il semolino per mio padre,
preparava un frullato con sciroppo di Hershey per me,
e si versava un solo long drink,
posandolo su un tovagliolo di carta gialla.
Anni dopo, quando ho avuto bisogno anche io a notte
di un long drink, mi ha raccontato questa storia.
Aveva lasciato mio padre in ospedale —
non sapendo se quella volta sarebbe sopravvissuto,
ma doveva tornare al negozio. A metà strada
si fermò a una tavola calda e ordinò un caffè.
Sedette al tavolo con il cappotto ancora addosso,
piangendo, in silenzio, soltanto il volto solcato da lacrime
e la cameriera non le disse una sola parola,
seguitò semplicemente a riempirle la tazza.
Poesia tratta da Indigo, Copper Canyon Press, 2020
Traduzione di Valentina Meloni