X

Luciano Taffurelli – Cane mangia cane

Illustrazione di Cedric Franchetti

Dog eat dog
Adam and the Ants

Da qualche parte in Nigeria

Paul fece un cenno d’intesa al compagno. Poi, con una spallata, buttò giù l’esile porta di legno. I due uomini si trovarono di fronte una donna impaurita che stringeva a sé due creature. Aprirono il fuoco, lasciando tre corpi senza vita sul pavimento. All’improvviso, una figura seminuda, con il volto coperto da una maschera tribale, uscì urlante dall’oscurità, brandendo un machete. I due compari si bloccarono per qualche secondo. L’affilato coltello sfiorò il braccio destro di Paul. Il socio colpì l’uomo in testa con il calcio del fucile, facendogli perdere i sensi. – C’è mancato poco – commentò. Si chiamava Julio Teppanera: uno statunitense di padre ispanico.
– Ci ha colto di sorpresa – rispose Paul ridendo. Più che una risata, la sua sembrava lo strillo di una iena.
Legarono le mani al prigioniero mascherato e lo trascinarono all’aperto. – Maledetti! – imprecò ad alta voce il malcapitato. Lo zittirono con un paio di calci in testa.
Paul si chinò su di lui e gli sussurrò in un orecchio: – Ciao, Jimmy. Hai voluto fare il furbo. Ti sei messo in affari anche con i messicani.
– L’ho fatto per la mia famiglia.
– Beh, ora la tua famiglia non c’è più. Se vuoi vivere, devi fare quello che ti diciamo.
Paul alzò gli occhi e appoggiò la canna del fucile d’assalto sulla spalla. Quell’incredibile volta celeste l’aveva sempre affascinato. Amava quel continente, anche se aveva spedito al creatore numerosi dei suoi abitanti. Ma era lavoro. Niente di personale. A lui non importava il colore della pelle di chi ammazzava. Siamo tutti figli di qualche Dio là in cielo, pensava.

Jimmy Mack si mise a sedere, guardò la maschera davanti a sé e girò la testa verso la casupola fatiscente, osservando le fiamme levarsi al cielo. Non avrebbe mai voluto sposarsi. Né tantomeno diventare padre. Tradizioni tribali. É così che funzionava, da quelle parti. Gli dispiaceva per i suoi familiari, ma doveva pensare a se stesso.
Qualche mese prima, da un nascondiglio segreto di Boko Haram, aveva rubato un grosso quantitativo di pastiglie di Captagon: uno psicostimolante sintetico a base di anfetamina.
La droga, che partiva dal confine tra Siria e Iraq attraverso i canali dell’Isis, arrivava nel continente africano. Una parte veniva usata dai militanti per migliorare le prestazioni in battaglia, il resto veniva spedito nei porti europei, e da lì nelle strade. Non gli era stato difficile trovare i giusti contatti tra le organizzazioni criminali che operavano a livello internazionale. Il problema era la sua avidità: aveva promesso il prodotto sia al cartello messicano di Juanitez che ai mercenari locali guidati da Paul, soprannominato il Feroce. Tra i due gruppi era nata una sanguinosa faida. Ed entrambi lo avevano cercato per farlo fuori e accaparrarsi il malloppo. Il bottino, però, era al sicuro. Era riuscito a farlo imbarcare all’interno di un container su un cargo commerciale diretto ad Amburgo, dove aveva un cugino che si sarebbe occupato di gestire il carico. Si chiamava Sunday, un piccolo capobanda di quartiere in attesa del grande salto. La droga, in seguito, avrebbe dovuto raggiungere il porto italiano di Salerno per essere venduta, attraverso due intermediari siriani, a un terzo acquirente: il potente faccendiere Flaviano Khadir.

Amburgo

Un vento autunnale soffiava impietoso sulle facciate ottocentesche di mattoni che si affacciavano sul fiume Elba. Jimmy Mack camminava davanti a Paul e a Julio Teppanera, stringendosi forte nel suo giubbotto di pelle. Stavano seguendo le tracce del container per cercare di recuperare la droga. Lo avevano costretto a contattare suo cugino adducendo un cambio di programma. Sunday era rimasto piuttosto sorpreso dalla sua chiamata. Jimmy sperava che il parente avesse fiutato la trappola arrivando all’incontro preparato e, soprattutto, con dei rinforzi. Non fu così. Sunday si presentò con un solo guardaspalle. Paul fu il primo ad aprire il fuoco: con una pistola silenziata colpì lo scagnozzo, centrandolo in mezzo agli occhi. Sunday alzò le mani e cantò come un fringuello. Il Captagon era stato imbarcato il giorno prima su un mercantile diretto a Salerno.
Teppanera mise la parola fine alla carriera criminale dell’uomo con un preciso colpo alla testa. Poi si accese una sigaretta e guardò in alto. – Qui il cielo fa schifo. Come il cibo. Che ne facciamo di Jimmy? Abbiamo tutte le informazioni, ormai.
– Starà con noi fino alla fine – rispose Paul.
Jimmy si era inginocchiato, piangendo sul cadavere del cugino. Una recita sopraffina per i due mercenari, che lo fissavano ridendo. Il vero Sunday aveva fiutato il pericolo e mandato un altro al suo posto. Suo cugino era ancora in vita. Forse la partita non era del tutto persa.

Salerno

Aveva trovato un alloggio sul lungomare: un bed & breakfast niente male, e nemmeno troppo caro. Si sarebbe fermato per pochi giorni. Il tempo necessario.
Scese e si sedette a un tavolo. Guardò l’orologio: mancava un’ora al suo appuntamento in questura. Era la prima volta che partecipava a un’operazione fuori dalla sua regione. Girò la testa a guardare il mare. La vista di quella distesa azzurra lo faceva viaggiare con la mente ai confini del mondo, come un marinaio che salpa verso l’ignoto.
La ragazza che serviva ai tavoli arrivò con la colazione: cappuccino, spremuta d’arancia e una sfogliatella alla crema. I capelli neri le sfioravano le spalle e aveva un viso dai tratti mediorientali. Il viceispettore la fissò con attenzione. Sentì un tuffo al cuore.
La giovane donna ricambiò l’occhiata. – Tutto bene? – chiese.
– Tutto a posto – rispose sorridendole. Non poteva certo dirle che le ricordava Carla, il suo perduto amore.
Era passato quasi un anno dal loro ultimo incontro e ancora non riusciva a credere che lei potesse essere un’assassina a pagamento. Ed era stato suo complice, perché aveva distrutto le prove che potevano incriminarla.
Dove sei, Carla?, pensò. Nemmeno un messaggio, né un biglietto. Nulla di nulla. Semplicemente sparita.

Il questore Franconi stava in piedi davanti alla scrivania nella sala riunioni. Seduti di fronte a lui, il viceispettore e due donne.
Il funzionario iniziò a parlare. – Siamo di fronte a una guerra internazionale di droga, iniziata in Africa e proseguita in Europa. E l’atto finale si combatterà proprio sul suolo italiano. Un carico di Captagon, partito da Amburgo, arriverà al porto di Salerno. Almeno è quanto emerge dalle informazioni in nostro possesso. Il problema è che non conosciamo la data.
– Un problema non da poco – aggiunse la donna, seduta alla destra del viceispettore Tifone, in un italiano dal forte accento tedesco. Portava capelli biondi, corti, e indossava un giubbotto nero di pelle, jeans attillati e stivali a punta.
– Nessun problema. Abbiamo un asso nella manica – ribatté l’altra. Era alta, secca e con un viso dai lineamenti spigolosi. I capelli neri erano raccolti in una coda. Indossava, con rara eleganza, un abito midi nero, di flanella.
Il questore si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi. Poi, tornò a sedersi alla scrivania, scurendosi in volto. – E perché non ne sappiamo niente, di questo asso nella manica?
– Stavo aspettando questo incontro per parlarvene…
– Eh già – disse ridendo la donna dai capelli biondi. – I soliti metodi della C.I.A.
– Se la polizia di Amburgo fosse stata più efficiente… – rispose piccata quella alta e secca.
Lucio Tifone guardava diverto il siparietto.
Il questore intervenne: – Suvvia, non litighiamo. Siamo qui per collaborare. Iniziamo con le presentazioni.
– Mi sembra un’ottima idea – puntualizzò il viceispettore. Qualche mese prima, lavorando sotto copertura, infiltrato in un giro di prostituzione minorile in Versilia, aveva incontrato una coppia di siriani che trafficava con il Captagon. D’accordo con i suoi superiori, aveva iniziato a lavorare per loro. L’operazione si era conclusa con il sequestro di un discreto quantitativo di droga nel porto di Livorno. La sua copertura era però rimasta intatta. Per quel motivo era giunta ai suoi superiori una richiesta di partecipazione a una nuova operazione. A Salerno.
Franconi si rivolse alla donna dai capelli neri: – Miss Wrench, vuole iniziare lei, così poi ci parla del suo asso nella manica?
La donna si alzò in piedi. – Katia Wrench, consulente C.I.A. per il continente africano.
– Franziska Breitner, polizia di Amburgo – disse l’altra alzandosi a sua volta.
Tifone rimase seduto. – Viceispettore Lucio Tifone. U.I.S. di Grosseto. E mi piacerebbe conoscere il mio ruolo in questa faccenda.
– Lei ha già avuto a che fare con un traffico di Captagon, vice ispettore – disse Katia Wrench. – E ha conosciuto due persone che riteniamo abbiano un ruolo determinante anche in questo affare. Due criminali comuni, ma con forti legami con alcuni gruppi di terroristi. Ecco il motivo della sua presenza. Dovrà mettersi in contatto con i siriani. Ma andiamo con ordine.
Lucio Allargò le braccia. – L’idea non mi entusiasma. Quella è gente pericolosa. Mi è già andata bene una volta…
– Viceispettore, è il suo lavoro – rispose asciutta l’americana.
L’agente Breitner lanciò un’occhiata solidale a Tifone.
La Wrench continuò senza battere ciglio: – Qualche giorno fa, al porto di Amburgo, c’è stato uno scontro a fuoco tra un paio di criminali locali e alcuni mercenari che operano in Africa, arrivati in Europa sulle tracce del Captagon. La peggio è toccata ai due di Amburgo. Oltre ai mercenari, ci sono anche gli uomini del cartello messicano di Juanitez che vogliono la droga.
– Mi sembra piuttosto affollata, la piazza – commentò sarcastica Franziska Breitner.
La consulente della C.I.A. fornì maggiori dettagli: – Il capo dei mercenari è Paul Sauvage, detto il Feroce. Un tempo lavorava per noi, adesso lui e la sua squadra sono una vera banda criminale.
– Chi altro è interessato al Captagon, oltre ai mercenari e ai messicani? – domandò il viceispettore.
– Tra un attimo ci arrivo – rispose l’americana, e proseguì: – Quando abbiamo scoperto l’identità delle vittime di Amburgo ci siamo accorti che qualcosa non tornava. Uno dei morti doveva essere Sunday Johnson: un piccolo boss locale. Ma a lasciarci la pelle al suo posto è stato qualcun altro. Sunday lo abbiamo preso in seguito, ed è inutile dire che si è dimostrato molto collaborativo. É lui il nostro asso nella manica. Conosce tutti i dettagli, anche perché è stato suo cugino Jimmy Mack a organizzare il trasporto in Europa dalla Nigeria, contando proprio sul suo aiuto. Purtroppo Jimmy è stato preso dai mercenari, che si sono assicurarti un notevole vantaggio.
«Il piano prevede che Tifone e Breitner si fingano una coppia di terroristi interessati ad acquistare un certo quantitativo di Captagon, contattino i siriani che il viceispettore già conosce e, attraverso i due, arrivino al compratore dell’intera fornitura: il faccendiere Flaviano Khadir.
Nel sentire quel nome, Tifone trasalì. La Wrench notò il suo turbamento e lo anticipò con un sorriso malizioso: – Una sua vecchia conoscenza, giusto, Tifone?
Il viceispettore annuì.
– Sembra una fottuta guerra mondiale. Proprio qui, nella mia città – commentò sconsolato il questore.
– Mi creda, Franconi, lo è. In quanto a lei, Breitner, il suo passato nel GSG9 la rende perfetta per questa operazione. Il suo governo, visti gli accadimenti di Amburgo, ci teneva a partecipare.
Franziska sorrise compiaciuta. Era orgogliosa dei suoi trascorsi nelle teste di cuoio del suo Paese. Anche se nella polizia criminale di Amburgo si trovava bene.
– Quest’operazione ha un nome? – intervenne il questore Franconi
Dog eat dog. Cane mangia cane. Giocano tutti contro tutti – rispose l’americana con un sorriso compiaciuto.

Lucio Tifone e Franziska Breitner presero possesso di una suite in un lussuoso albergo della città: l’Hotel Mediterraneo. Katia Wrench aveva pensato proprio a tutto. Il giorno dopo il viceispettore avrebbe contattato i siriani e organizzato un incontro. Non gli era per niente chiaro come avrebbero messo in trappola Flaviano Khadir, e nutriva seri dubbi al riguardo. Ma, se si era mosso un apparato come la C.I.A.,la posta in gioco era davvero grossa.

– Visto che dobbiamo fingere di essere fidanzati, perché non ordiniamo qualcosa dal servizio in camera? – esordì la tedesca.
– Ottima idea – rispose il viceispettore.
– Tanto per chiarire: non farti venire strane idee – puntualizzò la Breitner.
– Dormirò sul divano, non preoccuparti.
Ordinarono un costoso brut con dei sandwich al salmone e parlarono fino a tardi, raccontandosi aneddoti sui rispettivi lavori.
Il giorno dopo Tifone contattò gli intermediari siriani e organizzò un incontro nel bar di un centro commerciale fuori città. Ovviamente non sarebbero arrivati di persona, ma avrebbero mandato qualcuno.

Lucio e Franziska giunsero con qualche minuto d’anticipo e, come d’accordo, ordinarono due cappuccini. Dopo qualche minuto una giovane donna con pantaloni larghi verde militare e una felpa nera dei Cypress Hill si sedette al loro tavolo. Aveva i capelli castano chiaro che le lambivano le spalle e un naso piuttosto pronunciato. Quando si tolse i vistosi occhiali da sole, rivelando due pupille verde smeraldo, Lucio Tifone si sentì come Superman trafitto dalla kriptonite: era Carla la donna che aveva di fronte. L’aveva riconosciuta subito, anche se indossava una parrucca e un naso finto. Il viceispettore riuscì a mantenere il controllo.
– L’appuntamento è per domani sera alle ventidue, al porto. Alla banchina della dogana è ormeggiato un cargo il cui nome è Queen Christine. Ci sarà qualcuno ad attendervi – disse la ragazza senza tradire alcuna emozione. Poi si rimise gli occhiali e se ne andò.
La Breitner finì il cappuccino e ordinò un cornetto all’amarena. Poi guardò il viceispettore negli occhi e gli domandò a bruciapelo: – Conoscevi quella donna?
– Mai vista prima – rispose Tifone.
– Sei un pessimo bugiardo, Lucio.
Decise che poteva fidarsi di Franziska e le raccontò di Carla e della loro relazione, senza ovviamente far parola della vera attività della donna e del suo rapporto con Flaviano Khadir. – Non capisco come sia finita con i terroristi siriani. Qualcosa non torna… – Poi si ricordò della madre di Carla. Aveva origini siriane.
– Lo scopriremo presto, sicuramente. Puoi stare tranquillo, non ne farò parola con quella stronza della Wrench. Grazie per la fiducia.

Quella sera, dopo cena, Katia Wrench si presentò nella camera di Tifone e Breitner per organizzare l’incontro al porto. Con lei c’erano due agenti.
– Ho una sola domanda – esordì il viceispettore. – Che succede se all’appuntamento dovessero presentarsi i messicani e i mercenari, o altri interessati al Captagon?
La Wrench si girò verso uno degli agenti. L’uomo, mostrando un ghigno beffardo, fece il segno della pistola con la mano destra.

Durante il giorno la zona del porto era stata passata al setaccio da agenti in borghese; l’area era stata trasformata in un fortino blindato. Ma anche una fortezza inespugnabile ha i suoi punti deboli: Paul e Teppanera, dopo avere corrotto un doganiere, erano riusciti a penetrarvi nascosti in due grosse casse di legno piene di bambole destinate al porto di Singapore. Le casse si trovavano in un magazzino proprio dietro la banchina della dogana. Avevano lasciato Jimmy, ben sorvegliato, nell’isolata villetta di periferia che usavano come base.
Alle ventidue in punto, Tifone e la Breitner si trovarono di fronte alla Queen Christine. La zona era ben illuminata. Nel frattempo Paul e Teppanera emergevano dal loro nascondiglio armati di tutto punto.
Non molto lontano, in cima alla torre che dominava il porto, una figura vestita di nero metteva a nanna un paio di agenti di vedetta e posizionava un fucile di precisione con la canna rivolta verso il cargo.
– Qualcosa non mi convince. Sembra che non ci sia nessuno, qui – scrisse la Breitner su un taccuino, mostrandolo al suo compare.
Il viceispettore fu lesto a rispondere: – D’accordo con te. Siamo sicuri che questa Wrench lavori per il governo?
All’improvviso un buio profondo calò su tutta l’area e un rumore assordante squarciò la notte: due elicotteri irruppero sulla scena illuminando coi potenti fari la nave e la banchina. Tifone e Breitner trovarono riparo dietro un container, mentre alcuni proiettili mancavano di poco le loro teste.
La voce crepitante della Wrench s’inserì nelle orecchie dei due: – Che cosa sta succedendo?
– Ne sappiamo quanto lei – rispose il viceispettore mentre tutto attorno a lui pioveva piombo.
Un rumore assordante, poi una fiammata. Un elicottero si schiantò. Subito dopo l’aria si riempì di un fumo denso che rendeva impossibile orientarsi. La coltre fumogena era sparata dall’altro elicottero.
Non molto lontano Paul e Teppanera erano impegnati in un conflitto a fuoco con gli agenti della Wrench e alcuni uomini del cartello di Juanitez. Anche il secondo elicottero finì al suolo, colpito da un preciso colpo di fucile sparato dalla torre.
Era l’inferno in terra, tutti sparavano contro tutti. In mezzo a quella nebbia non esistevano né buoni né cattivi, ognuno cercava solo di sopravvivere.
La voce della Wrench smise di gracchiare, e in lontananza il canto delle sirene mise la parola fine alla battaglia. I pochi sopravvissuti si guardarono in giro smarriti e cercarono di fuggire.
Lucio Tifone e Franziska Breitner uscirono dalla nebbia, feriti ma vivi. Giusto in tempo per veder partire la Queen Christine, con il suo carico di droga, diretta verso nuovi fronti di guerra.
Un messaggio arrivò al cellulare del viceispettore. Lucio si appoggiò a un container ed estrasse il telefono dalla tasca. Felice di esserti stata d’aiuto. Mi spiace per il tuo Captagon, ma gli affari di famiglia vengono prima. Almeno su una cosa l’americana aveva ragione: cane mangia cane. Tua per sempre. Carla.

Luciano Taffurelli: Luciano Taffurelli (1960) è Direttore artistico presso la “Festa di Radio Onda d'Urto” di Brescia dal 2005 e conduttore musicale presso la stessa emittente con le trasmissioni “Baraonda d'urto” e “Cianotik Time". Appassionato da tempo di letteratura gialla, noir e thriller, da qualche anno coltiva la passione della scrittura. Ha pubblicato "Anche le ombre hanno il loro inferno privato" (Calibano Editore), esordio elogiato da Massimo Carlotto.
Related Post