È l’aspettativa che infiamma gli occhi di questi uomini stipati uno vicino all’altro.
Avrebbero preso posto anche su un barcone, per affrontare il tragitto; fortunatamente hanno trovato posto su un aereo a buon mercato, prenotando dal cellulare di penultima generazione.
Hanno risparmiato per lunghi mesi, addirittura anni in qualche caso, per poter affrontare il viaggio della speranza.
Hanno fatto i lavori più disparati, ore straordinarie del sabato, turni in sostituzione di colleghi in cambio di denari.
Ad alcuni è toccato indebitarsi fino al collo, altri hanno rubato.
Hanno rinunciato alle piccole gioie quotidiane: una sigaretta, un tè alla menta, una birretta, o addirittura all’unica, patetica, ciulata a pagamento bimestrale.
Indossano logore tute in acrilico, alcuni vestono magliette coi loghi di moda dalle fallaci dimensioni: coccodrilli enormi o giocatori di polo a cavallo di elefanti.
Sono di etnie diverse, alcuni molto più abbronzati di altri, ma hanno qualcosa che li accomuna: sono tutti maschi fra i venticinque e i cinquant’anni.
Diversi possiedono muscolature importanti e tatuate, altri vestono epicurei corpicini della ragioneria di stato.
Quasi non si parlano, si scambiano qualche raro suono e si intuisce, dalla cadenza, la provenienza da differenti latitudini.
Dai gesti misurati, dalla curiosità con cui si studiano, si deduce che non sono amici: piuttosto compagni di sventura.
Mentre faccio queste considerazioni l’aereo punta decisamente il becco verso il basso.
La hostess manda a memoria la cantilena in finto inglese che precede l’atterraggio.
Istanbul e le sue moschee mi appaiono nel finestrino, un miraggio in fiamme nella sera che arrossa; mentre il serpente argentato del Bosforo disegna uno scarabocchio fin dentro il mar Nero.
Ed è in questo lungo istante, atteso e sognato lungamente, che si specchiano anche le mie speranze di un futuro migliore.
Unito a questa schiera di uomini, accomunati da un anelito, mi appresto a varcare la porta d’oriente.
La città a cavallo di due continenti: Bisanzio.
Metropoli ventosa pervasa dall’effluvio speziato dei cibi, bagnata dell’acqua di rose: Costantinopoli.
Abbuffata di balsami dal neutro ph.
Bramosia di forfora a scaglie sottili.
Bruciore intenso di shampoo negli occhi… Finalmente!
Miraggio di cheratina, brillantina e gel a presa rapida.
L’aria che si respira è aria di medio oriente,
è promessa di esuberanza tricologica:
è chimera di vento nei capelli.