Cento passi nel delirio
Storia di un annoiato architetto dongiovanni, Vladimir, che per sfuggire alla pesantezza e finzione della vita moscovita rivelataglisi improvvisamente, decide di prendere un treno e recarsi nel nulla della provincia. Lì troverà una nuova ragion d’essere, che non è la sola tensione all’oblio – dimenticare il passato, il presente, le donne che pur non sa smettere di rincorrere – ma una ricerca a partire da zero, una formattazione dell’esperienza, e un nuovo singolare oggetto di adorazione: un manichino di cera. Che naturalmente rappresenta una persona in carne e ossa. Anzi due.
La narrazione si fa incalzante e avventurosa: l’inseguimento dell’architetto attraverso l’Europa di due nomi, dei circhi in cui i due nomi si esibiscono, dei luoghi, delle storie; fino ad un incontro veneziano, che svela una voragine di passione; e una tragedia terribile, che conduce alla follia e alla miseria.
Bellissimo romanzo breve, scritto con lucidità e freddezza pur narrando di passioni devastanti. Si legge con l’ansia della ricerca continua, e si vorrebbe sapere tutto e subito. L’autore si fa seguire da presso, e ci accompagna in rarefatte, e perfettamente umane, follie. Memorabile.