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Gli invasati

Gli Invasati (The Hunting) è un horror psicologico del 1963, diretto da Robert Wise e basato sul romanzo di Shirley Jackson L’incubo di Hill House (The Haunting of Hill House).

Il film si apre con una voce fuoricampo, che scopriremo appartenere all’antropologo John Markway, che narra le vicende accadute a Hill House, dimora della famiglia Crain, nei novant’anni precedenti al tempo della storia. In quella villa sono morte quattro donne: le due mogli del signor Crain, decedute in circostanze misteriose, Abigail, la figlia di Craig, che morì di vecchiaia nel letto d’infanzia dove visse tutta la sua vita, e la dama di compagnia di Abigail, che si suicidò dopo aver vissuto per qualche tempo da sola nella casa.
Markway è appassionato di paranormale e preternaturale e desidera condurre degli studi a Hill House, dove sembra si concentrino avvenimenti inspiegabili. Il team di ricerca è composto da lui stesso, da Eleanor e Theodora, due giovani donne che hanno avuto esperienze paranormali, e da Luke Sanderson, futuro erede della casa.
Giunti sul luogo, dopo un primo momento di apparente quiete all’interno della villa si succedono eventi sinistri, fra cui porte che si aprono e si chiudono da sole, urla, pianti e correnti d’aria. Ciò nonostante, Eleanor cessa di sentirsi spaventata e inizia a voler far parte di quella casa, al punto di pregare Sanderson di assumerla come domestica e, dopo il suo rifiuto, compiere un gesto estremo.

Uno degli aspetti più interessanti del film è la capacità di catturare la nostra attenzione facendoci sorgere delle domande: chi è la voce narrante all’inizio? Perché per l’esperimento sono state scelte proprio Eleanor e Theodora? Che cos’è successo fra Eleanor e sua madre? Sebbene alcune domande trovino una risposta, il finale e il senso generale del film rimangono aperti alle nostre personali riflessioni.
Un dettaglio che sicuramente ha suscitato scalpore al tempo è stata la velata attrazione di Theodora nei confronti di Eleanor, che può essere percepita durante alcune scene, anche se non viene mai esplicitata, tanto che il regista e lo sceneggiatore decisero di tagliare una scena perché avrebbe potuto indurre il pubblico a confermare la teoria.

Un elemento che non passa inosservato è la capacità suggestiva del regista, che riesce a coinvolgere nella narrazione le statue presenti nella casa, quasi partecipassero all’azione, tanto che a tratti si percepisce il paradossale contrasto fra le statue che sembrano quasi vive e gli umani pietrificati dalla paura.
In una stanza della casa è situato un gruppo di cinque statue che rappresentano il signor Craig, le due mogli, Abigail, un cane e una donna sconosciuta. Eleanor si sente da subito molto vicina alla statua della donna sconosciuta, ed effettivamente è l’unica che fino ad allora è rimasta senza un corrispettivo vivente, se consideriamo che il cane, simbolo di fedeltà, potrebbe essere una rappresentazione della dama da compagnia di Abigail, che le rimase fedele fino alla morte. Inoltre è come se le donne ospiti venissero associate alle sculture presenti nella casa, dato che sembrano rispecchiare tratti della loro personalità. Nella camera di Eleanor è presente un busto che assomiglia alla Dama velata di Raffaele Monti (1845); come la statua, Eleanor cerca di nascondere le sue vere emozioni, ma in qualche modo le lascia sempre trapelare.
Sulla maniglia della porta della camera di Theodora c’è un bassorilievo del volto di Medusa, simbolo di potere e seduzione femminile. Infine, quando la moglie di Markway, una donna razionale che rifiuta di lasciarsi spaventare da ciò che le viene raccontato dal marito, entra nella villa, insieme a lei viene inquadrata la statua di una donna che sorregge un paralume, probabilmente a simboleggiare il lume della ragione che la donna crede di avere rispetto alla situazione.

Un altro particolare che aggiunge valore al film è l’uso di un unico effetto speciale visivo: una porta che si deforma (la porta era stata realizzata con un materiale flessibile e laminata con un sottile strato di legno e un operatore la spingeva da dietro). Sono completamente assenti anche personaggi truccati o vestiti in modo da creare elementi perturbanti. Per il resto la tensione, la suspense e l’atmosfera horror sono stati creati esclusivamente attraverso gli effetti sonori, la recitazione degli attori e i movimenti di macchina, quasi a sottolineare quanto ciò cui stiamo assistendo possa essere allo stesso tempo reale e irreale. Si procede per allusioni piuttosto che per disvelamenti[1]. L’equilibrio del film di Robert Wise è dato anche dalla recitazione molto controllata, basata più su particolari e inquadrature che sull’intensità emozionale.

Gli invasati è un horror introspettivo che vuole mostrarci come il vero elemento di terrore sia nella mente della protagonista, Eleanor, che prova un opprimente senso di colpa e un forte desiderio di fuga dalla casa della sorella, più che in fattori esterni. Lascia molte domande aperte, dando allo spettatore la possibilità di rispondere. Per esempio, perché la casa uccide solo donne e intrappola le loro anime? Considerata l’ambiguità di Theodora e i conflitti familiari di Eleanor, entrambe single, c’è forse una velata critica alla società del tempo, che voleva le donne casalinghe e madri, legate al focolare domestico?
Ci sono molte cose che non possiamo sapere: resta a noi il piacere di porci domande e rispondere. Esattamente come nel romanzo della Jackson.

Un film ancora godibilissimo nonostante il tempo trascorso dalla sua realizzazione, coinvolgente e catartico: certamente una visione che resta impressa nella memoria.


Nota
[1] Raffinatezza di cui non è stato capace Jan De Bont, regista del remake nel 1999 (Hauting – Presenze), che invece sciupa ogni occasione cinematografica con improbabili effetti da baraccone e una direzione degli attori che li fa sembrare sempre un po’ troppo sopra le righe, come in un melodramma. Né Mike Flanagan, ideatore e regista della miniserie televisiva, che poco ha a che fare con il romanzo, completamente stravolto e piegato a ragioni commerciali poco comprensibili: i tempi dilatati sfilacciano una trama tesa e drammatica aggiungendo elementi inutili e perdendo per strada tutte le sottigliezze psicologiche del film di Wise (ndD).

Laura Maria Tonelli: Laura è nata nel 1995 a Milano, una città internazionale che fin dalla nascita le regala molte opportunità. Ama imparare cose nuove, e uno dei suoi mezzi preferiti per farlo è viaggiare. Da sempre ha mostrato una grande passione per le arti performative (in modo particolare il cinema) e per la moda. È laureata in fashion design, ama guardare e analizzare film e nel suo futuro vede una carriera come costumista, che unirà i suoi più grandi interessi.
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