Tutto Camilleri di Gianni Bonina è un saggio di più di ottocento pagine nel quale viene analizzata criticamente l’intera opera di Andrea Camilleri fino al 2011 (l’analisi è arricchita da un’intervista al Maestro su ogni specifico suo libro).
Premesso che il librone è molto interessante e ricco, mi chiedo a quale tipo di pubblico l’autore intendesse rivolgersi nel momento in cui sono stati utilizzati specifici termini, come nel paragrafo che riporto di seguito (da la genealogia ad attinti dalla realtà tutto bene, poi si scatena l’inferno…).
[…] la genealogia della vasta armonica di caratteri camilleriani è iscritta a un’anagrafe rigorosamente siciliana ed è ispirata a un canone che allinea modelli sociali attinti dalla realtà: il bavardage spinto fino alla lallazione e alla sticomitia, l’istinto nosologico che esalta coridonismo e coribantismo e che della donna fa l’elemento di blocco di una etopea eudemonistica di tipo maschilista, il gusto del ballon d’essai e del conte drôlogique, il sentimento dell’aruspicina, il gioco combinatorio di verità e menzogna, di detto e sottinteso, la propensione a un’eristica di cavilli e sotterfugi.
Questa mia considerazione non deve valere come giudizio definitivo sul saggio, che al di là di queste piccole “cadute” resta un lavoro apprezzabilissimo.
Forse Bonina, nel tentativo di costruire un’apologesi, ma nel timore di parere apodittico, ha preferito épater les bourgois con la sua erudizione badiale.
probabilmente dovresti leggere altro se non capisci quello che è scritto in buona lingua italiana, un po’ tecnica forse ma appropriata trattandosi di saggio critico letterario. Ma forse queste cose non le capisci. Perché non ti prendi un vocabolario, anche scarso: vedrai che trovi tutte le parole che non sai cosa significhino. Provaci, è facile
Caro Matteo, è quello che ovviamente chi vorrà leggere l’opera sarà costretto a fare. Ma capisci anche tu che l’autore di un saggio che pretende di essere rivolto al grande pubblico dovrebbe essere leggibile dal grande pubblico. In un’opera divulgativa è quantomeno inopportuno esprimersi con un linguaggio tecnico utilizzato solo in narratologia.
Non esistono parole difficili ma solo parole che non si conoscono. Sentiamo anche le massaie dire ai bambini “Hai capito l’antifona?” usando una parola della migliore retorica che però è entrata nel linguaggio comune, a differenza che so di metonimia. Eco scrisse Il nome della rosa rivolgendosi al grande pubblico e scrivendo paginate in latino, ma nessuno gli ha mai detto niente. Il problema non è mai di chi scrive ma di chi legge.