Storie scellerate

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Storie scellerate è una sorta di spin-off della Trilogia della vita* pasoliniana, anche se questo linguaggio non faceva parte della terminologia cinematografica usata negli anni Settanta. L’idea originale era quella di usare due novelle del Boccaccio, già sceneggiate da Citti e Pasolini per il Decameron ma poi tagliate in sede di realizzazione. Quando Pasolini decide di non girare il film ma di passare la regia a Citti, che aveva già ben debuttato in Ostia, l’idea si modifica radicalmente e il taglio del racconto si fa molto più estremo. Pare che l’idea venga al produttore Alberto Grimaldi che vuole sfruttare il successo commerciale del Decameron e, per far questo, suggerisce di cambiare ambientazione: non più quell’età intermedia tra Medio Evo e Rinascimento ma la Roma papalina (1800), così come la fonte del racconto non è Giovanni Boccaccio ma Matteo Bandello. Il film che ne viene fuori è tutt’altro che commerciale, in primo luogo perché esce in un periodo di decamerotico gioioso ed eccessivo, un sottogenere che estremizza dal punto di vista erotico e comico i contenuti del film di Pasolini, pellicole girate in poco tempo e senza molta cura, solo per sfruttare una moda del momento. Storie scellerate non è certo un decamerotico, ma un film molto curato da un punto di vista scenografico e fotografico, girato da una troupe pasoliniana che vede all’opera gente come Nino Baragli (montaggio) e Tonino Delli Colli (fotografia), per tacere di Dante Ferretti (scenografo) e Francesco De Masi (musica). Il problema è che pubblico e critica non comprendono la differenza, al punto che la pellicola viene inserita nel ghetto del sottogenere, senza un vero pubblico di riferimento, snobbata dai cinefili e non adatta al pubblico di bocca buona, che cerca solo divertimento e sesso. Altro motivo di poca commerciabilità è dato dal fatto che Citti calca la mano sui momenti estremi (evirazioni, omicidi), il sesso esibito non risulta gioioso e liberatorio, come nella trilogia di Pasolini, ma più cupo e crudo, più vicino agli ambienti claustrofobici e mortiferi di Salò.

Non è facile raccontare la trama, composta di alcuni racconti che parlano di sesso e sangue, narrati da due gaglioffi (Ninetto Davoli è Bernardino, Franco Citti interpreta Mammone) che si incontrano in una latrina di campagna. Le storie sono davvero scellerate ed estreme, pure se il regista le racconta in modo secco e asciutto, senza alcun compiacimento di erotismo e violenza, soprattutto senza volontà di esibire nefandezze inutili.

Un nobile tradito ripetutamente da una moglie ninfomane (Machiavelli), scoperta grazie a un prete che gli permette di assistere (nascosto) alla confessione, punisce la donna con la segregazione nuda in una cella sotterranea, mentre lui si castra con un coltellaccio davanti ai suoi occhi e le getta il pene come ultimo regalo. Un pastore è beffato da un collega che lo convince a far l’amore con una pecora mentre lui se la spassa con la moglie; il cornuto se ne rende conto e la vendetta è atroce: travestito da donna adesca il rivale, lo uccide con un coltello, lo appende per i piedi a un albero e gli estirpa il fegato che cuoce sulla fiamma come pietanza per la moglie. Un marito scopre che il nuovo prete del villaggio va a letto con sua moglie, irrompe nel talamo mentre i due stanno facendo l’amore, uccide la consorte con un coltello e con la stessa arma impone al prete di castrarsi. Un prete (Rizzo) si procura donne con il pretesto di aiutarle e di fare carità ma si serve di un ragazzino privo di scrupoli che un giorno si traveste da donna, uccide il religioso e si impossessa del denaro. Un ménage a trois tra una coppia povera e un ricco macellaio finisce nel sangue quando la donna si trova un terzo amante. Infine c’è la storia dei due briganti che uccidono un passante (incontrato nella latrina) per rubargli una borsa gonfia di denari, ma vengono scoperti, incarcerati e condotti al patibolo. I due lestofanti si raccontano le storie e infine muoiono ridendo, perché immaginano che l’aldilà sia un luogo molto concreto e gioioso, dove Dio (Santino, il padre di Citti) manda all’Inferno gli ipocriti e in Paradiso chi rimpiange con sincerità i piaceri terreni. Tra queste storie troviamo anche il breve racconto di un Papa vecchio e stanco, dedito ai piaceri del cibo, che muore al termine di uno dei suoi tanti eccessi alimentari, mentre il successore designato attende di prendere il suo posto. Il potere, come in ogni film di Pasolini, viene sempre preso di mira e messo alla berlina, che sia istituzione civile o religiosa.

Storie scellerate è un film sulla vita e sulla morte vista come continuazione della vita, girato con cura, molto attento ai particolari scenografici e a un’ambientazione credibile. Lo schema seguito da Citti ricalca il Decameron di Pasolini, con storie concatenate e intersecate tra loro che a un certo punto trovano soluzione e si concludono con la vicenda principale dei due narratori. Molto sangue esibito, diverse castrazioni, rapporti sessuali in certi casi espliciti e molti nudi (maschili e femminili) ne fanno un film che deve subire il divieto ai minori.

Colonna sonora di De Masi caratterizzata da diversi stornelli romaneschi, fotografia di Delli Colli luminosa e coloratissima, con tinte pastello, montaggio accurato e notevole ricostruzione di ambienti (interni ed esterni), opera del grande Ferretti.

Soggetto e sceneggiatura sono di Pasolini e Citti, ormai coppia affiatata, che si abbeverano alla fonte del Bandello per legare tra loro storie di mogli traditrici, mariti sciocchi e frati impenitenti, con un taglio cupo e sanguigno che lo rende ben diverso dai prodotti cinematografici pensati dopo il Decameron. Non esiste sesso gioioso e ilare nel film di Citti: tutto finisce nel sangue e in qualche aberrante evirazione, sono storie senza speranza, che soltanto nel finale lasciano aperto uno spiraglio, quando Dio concede la salvezza soltanto a chi dimostra di rimpiangere la vita. La risata di Franco Citti e Ninetto Davoli, un vero e proprio sghignazzo irrefrenabile prima dell’impiccagione, salva il film dal cupo pessimismo di cui è intriso.

Tra gli attori sono fondamentali Davoli e Citti, perfetti nei ruoli di malandrini e come narratori onniscienti, filo conduttore delle storie collegate tra loro. Il resto del cast è composto da volti pasoliniani, da interpreti pescati – come nel Decameron – tra i ragazzi di vita, ma una menzione la meritano Nicoletta Machiavelli (bella e perversa moglie ninfomane) e Giacomo Rizzo (prete dedito ai piaceri della carne).

Tecnica di regia matura e consapevole, che spazia dalle panoramiche romane ai piani sequenza, soggettive intense, primi piani, particolari efferati e uso appropriato del flashback narrativo. Indefinibile come genere, più grottesco che commedia, contiene elementi che lo rendono vicino al cinema di sexeploitation, pure se in definitiva resta un racconto in costume – dal taglio estremo e sanguigno – ambientato nella Roma del 1800.

La critica. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Un film cupo, sanguigno e ben poco commerciabile, in cui, al contrario che nel Decameron, non c’è nessuna gioia del sesso. Anche se alla fine il Padreterno manda in Paradiso chi rimpiange i piaceri terreni, e all’inferno gli ipocriti. Franco Citti e Davoli, che muoiono sghignazzando, sono al loro meglio”. Pino Farinotti (tre stelle): “Due condannati a morte, nella Roma ottocentesca, si raccontano storie che culminano tutte con la salita al patibolo dei protagonisti. La narrazione si conclude quando i due autori salgono a loro volta i fatidici gradini”. Morando Morandini (due stelle e mezzo): “Imperniate sul sesso e tutte concluse con la morte, sono storie di una buffoneria cupa e sanguigna di radice contadina, esposte con linguaggio asciutto e spiccio, senza fronzoli né compiacimenti. Secondo film di Sergio Citti, cineasta contadino più che sottoproletario”.

* composta dai film Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte.

Regia: Sergio Citti. Soggetto e Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Musica: Francesco De Masi. Edizioni Musicali: Eureka Edizioni (partecipa il Complesso Gabrielli). Scenografia: Dante Ferretti. Costumi: Danilo Donati. Fotografia: Tonino Delli Colli. Girato: Technicolor. Montaggio: Nino Baragli. Direttore di Produzione: Mario Di Biase. Produttore: Alberto Grimaldi. Aiuto Regista: Umberto Angelucci. Operatore alla Macchina: Carlo Tafani. Assistenti Operatore: Pino Bonaurio, Alessio Gelsini. Assistente al Montaggio: Ugo De Rossi. Segretaria di Edizione: Beatrice Banfi. Ispettori di Produzione: Alessandro Mattei, Augusto Marabelli. Segretaria di Produzione: Carla Crovato. Amministrazione – Cassiere: Maurizio Forti. Assistente Regia: Paolo A. Mettel. Arredamento: Andrea Fantacci. Aiuto Costumista: Vanni Castellani. Fonico Presa Diretta: Vittorio Massi. Trucco: Rino Carboni. Parrucchiera: Jole Cecchini. Assistente alla Sceneggiatura: Carlo Agate. Capo Macchinista: Augusto Diamanti. Capo Elettricista: Alberto Ridolfi. Sartorie: Farani – Veste. Teatri di Posa: Rizzoli Film, Gestione Teatri Palatino. Case di Produzione: PEA – Produzioni Europee Associate sas (Roma, Les Productions Artistes Associés sa (Paris). Edizione: Enzo Ocone. Mixage: Fausto Ancillai. Sincronizzazione: Nis Roma. Interpreti: Ninetto Davoli, Franco Citti, Nicoletta Machiavelli, Gianni Rizzo, Silvano Gatti, Elisabetta Genovesi, Roberto Simmi, Sebastiano Soldati, Enzo Petriglia, Ennio Panosetti, Giacomo Rizzo, Oscar Fochetti, Fabrizio Mennoni, Christian Alegny, Martine Japy Stimamiglio, Ettore Garofalo, Pino Andruccioli, Alberto Atenari, Joceyne Münchenbach, Giuliana Orlandi, Alix D’Aragon, Enrico Santofinto, Marcello Di Falco, Piero Morgia, Mario Prandi, Silvana Vellucci, Maria Pietro. Anno: 1973

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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