Sette scialli di seta gialla

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La visione di questo thriller poco conosciuto – grazie alla nuova emittente Cine 34 – ci permette di approfondire la conoscenza di Sergio Pastore (Cosenza, 1932 – Roma, 1987), autore di dodici pellicole, dal 1968 al 1987, a basso costo, alcune realizzate con la casa di produzione da lui fondata (Mezzogiorno Nuovo d’Italia). Pastore muore per ictus a soli 54 anni mentre al cinema Fiamma assiste alla prima del suo ultimo film (Delitti, 1987). Due matrimoni, il primo con la ballerina turca Aiché Nana, il secondo con l’attrice Giovanna Lenzi (le vediamo spesso nei suoi film con il nome d’arte di Jeannette Len) che gli dà una figlia, Laura, attiva politicamente a Cerveteri, cittadina che gli dedica una strada. Per saperne di più su Pastore, consiglio il libro della figlia: Appunti a mente di Laura Pastore. Il regista Sergio Pastore nel racconto di sua figlia (Editoriale Progetto 2000).

Sette scialli di seta gialla è il film più interessante di Sergio Pastore, scritto e sceneggiato secondo le regole del thriller erotico italiano, morboso e inquietante, con lievi accenni di lesbismo e diverse scene cruente. Vietato ai minori di anni 14, sia per l’erotismo malsano di cui è pervaso che per alcune sequenze gore, omicidi a base di colpi di rasoio e unghiate di gatto piuttosto efferati. Pastore scrive il film insieme a Sandro Continenza e Giovanni Simonelli, per la fotografia si affida al valido Guglielmo Mancori, per il montaggio al diligente Vincenzo Tomassi, mentre le musiche suggestive e di atmosfera sono di Manuel De Sica.

La storia – ambientata in una Copenaghen luminosa e vitale – ruota attorno all’omicidio di Paola (Marchall), fidanzata di Peter (Steffen), un pianista cieco, che si cala nei panni dell’investigatore collaborando alle indagini condotte dall’ispettore Jansen (De Carmine). La morte di Paola avviene in un atelier di moda, e in un primo tempo sembra dovuta a cause naturali, ma altre morti violente si susseguono, tutte dovute alle unghie d’un gatto nero cosparse di curaro. Uno scialle intriso di sostanza repellente è la chiave di tutto, perché serve a scatenare la furia omicida del gatto. I sospetti cadono su Susan (Len), una tossicodipendente che lavorava in un circo e possiede un gatto nero, ma viene uccisa prima di confessare il nome dell’assassino. Il finale convulso vede nuove morti efferate a colpi di rasoio e un crescendo di tensione fino alla scoperta della colpevole (Franҫoise – Koscina) che si suicida gettandosi dalla finestra. Il primo delitto era avvenuto per gelosia, per una relazione scoperta da Franҫoise tra Paola e il marito Victor (Rossi-Stuart), tutto il resto per coprire l’omicidio iniziale. Franҫoise – lo scopriamo soltanto nel finale – era rimasta sfigurata nel corpo dopo un grave incidente stradale.

Ottimo cast, presenza di spicco Sylva Koscina (un nudo posteriore sotto la doccia), doppiata da Rita Savagnone, killer con mano guantata e lama affilata, nella piena tradizione della donna nera del cinema italiano. Anthony Steffen (Antonio de Teffé, italianissimo) è ben calato nei panni di un cieco, mentre Rossi-Stuart rappresenta una garanzia di professionalità nel cinema di genere. La moglie del regista (Giovanna Lenzi – Jeanette Len) è la circense drogata.

Il film vive di vecchie suggestioni cinematografiche hitchcockiane (Psycho e la scena nella doccia) e letterarie (Il gatto nero di Edgar Allan Poe), ma può dirsi riuscito come clima di tensione e sviluppo della sceneggiatura, al punto che regge bene il passare degli anni. Buona l’ambientazione danese, a Copenaghen; gli interni sono girati a Cinecittà.


Regia: Sergio Pastore. Soggetto e Sceneggiatura: Sandro Continenza, Giovanni Simonelli, Sergio Pastore. Fotografia: Guglielmo Mancori. Montaggio: Vincenzo Tomassi. Effetti Speciali: Eugenio Ascani. Musiche: Manuel De Sica. Scenografia: Alberto Boccianti. Costumi: Luciana Marinucci. Trucco: Renzo Francioni. Produttori: Edomondo e Maurizio Amati. Casa di Produzione: Capitolina Produzioni Cinematografiche. Genere: Thriller. Durata: 95’. Interpreti: Anthony Steffen (Peter), Sylva Koscina (Franҫoise), Jeannette Len (Susan), Renato De Carmine (ispettore Jansen), Giacomo Rossi-Sturat (Victor Valley), Umberto Raho (Burton), Annabella Incontrera (Helga), Liliana Pavlo (Wendy), Shirley Corrigan (Margot), Romano Malaspina (Harry), Isabela Marchall (Paola), Imelde Marani, Lorenzo Piani, Irio Fantini. Anno: 1972

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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