Sella d’argento

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Abbiamo rivisto Sella d’Argento grazie a Iris, benemerito canale satellitare che presenta un fantastico palinsesto di cinema italiano; una volta di più ci siamo resi conto della capacità tecnica di un regista come Lucio Fulci, capace di spaziare tra i generi più disparati prima di approdare al thriller e all’horror.

Sella d’Argento è un tardo spaghetti western molto originale, grazie a una trama ricca di colpi di scena e a un protagonista che diventa pistolero a dieci anni dopo aver vendicato l’omicidio del padre. Alcuni critici liquidano frettolosamente Sella d’Argento come un film per ragazzi, solo per la presenza di un bambino nel cast, fulcro portante della vicenda, ma non c’è niente di più errato, perché la pellicola presenta la tipica violenza di un lavoro firmato Lucio Fulci, senza fare sconti a nessuno. Basti pensare alla sequenza dell’eccidio dei frati al convento, al segmento con il bambino frustato a sangue dal bandito rapitore, alle molte sequenze a base di sparatorie e morti ammazzati nei modi più disparati, tipiche di un western classico.

Il soggetto e la sceneggiatura sono di Alessandro Bolzoni; Fulci rende molto bene per immagini una storia interessante, partendo da un lungo piano sequenza che introduce l’episodio di un bambino che uccide l’assassino del padre, realizzato con la tecnica del flashback onirico.

Giuliano Gemma è perfetto nel ruolo del pistolero cresciuto con un peso sulla coscienza, che dal giorno in cui ha ucciso il suo primo uomo cavalca sulla sella d’argento trafugata al killer del padre, cresciuto nel rancore per la famiglia Barrett, mandante di tale omicidio. Geoffrey Lewis è ottimo nella parte di Serpente Due Colpi, un losco figuro assettato di denaro che a suo modo diventa amico di Sella d’Argento, caratterizzato dalla sceneggiatura per l’abitudine di compiere opera di sciacallaggio sui cadaveri. Sven Valsecchi è il piccolo Barrett, noto nel cinema per molte presenze dal 1974 (Il venditore di palloncini) in poi (Nené, Attenti al buffone, Ancora una volta a Venezia, Gli esecutori, Questo sì che è amore), spontaneo e ben calato nella parte dell’erede positivo di una famiglia che nasconde diversi scheletri nell’armadio. Valsecchi (1968) debutta nel cinema a 5 anni, vero bambino prodigio che in età adulta non mantiene le promesse, visto che ne esce presto, a soli 22 anni, dopo aver preso parte ala miniserie televisiva Orient-Express (1980). Ettore Manni è il cattivo in giacca e cravatta, il vecchio Barrett che ha ordito nell’ombra il rapimento del bambino e che vorrebbe eliminarlo per restare unico erede della fortuna di famiglia. Presenze femminili interessanti sono Cinzia Monreale – sorella del piccolo Barrett – e un’insolita Licinia Lentini nel ruolo della tenutaria di un bordello in un saloon cittadino. Aldo Sambrell è il bandito Garricha, per lui un ruolo naturale, visto il numero incalcolabile di pistoleros messicani che ha impersonato nel cinema italiano. Ricordiamo Donald O’ Brien, volto storico del cinema di genere, attore prediletto da Joe D’Amato, una tantum pistolero buono che fa una brutta fine.

Il film è girato in Almeria, a Nueva Frontera, un luogo storico del western europeo, perfetto per ambientare una storia che vive di frequenti colpi di scena e di sequenze realistiche tra polvere, conventi, cimiteri abbandonati e vento che soffia nelle pianure assolate. La colonna sonora – realizzata da Bixio, Tempera e Frizzi -, ricca di sonorità western e messicane, non ha niente da invidiare alle più note composizioni di Morricone. Scenografie perfette di Carlo Simi con ricostruzioni accurate dei villaggi western. Montaggio rapido ed essenziale di Ornella Micheli. Fotografia di Sergio Salvati, fido collaboratore di Fulci, che asseconda la scelta delle immagini, valorizzando una tecnica di regia matura e compiuta.

Sella d’argento rappresenta un tentativo impossibile di rivitalizzare un genere defunto come lo spaghetti western, ma resta un esempio di grande cinema italiano degli anni Settanta, girato da un Maestro come Lucio Fulci, per anni vituperato da una critica incolta e bizzarra. Da riscoprire.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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