Mannaja

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Il cinema western italiano ha regalato film eccellenti nel sottogenere crepuscolare, come questo poco considerato Mannaja (a parte Matteo Mancini che lo rivaluta nel suo fondamentale Spaghetti Western volume 4, pp. 1734 – 1742) che vede Sergio Martino tornare al genere e Maurizio Merli debuttare come originale pistolero vendicatore.

Un cast stellare per il periodo storico. Merli è perfetto nei panni di Mannaja, che usa l’accetta meglio delle pistole e si presenta tagliando un avambraccio a Donald O’Brien, bandito da catturare per riscuotere una taglia. Il trucco con la vistosa parrucca bionda serve a far ricordare Franco Nero nei panni di Keoma, ma il noto attore di poliziotteschi si cala a dovere nei panni di un personaggio insolito. John Steiner è il cattivo senza redenzione, il folle che si libera del padrone, ammazza gli operai della miniera che non ubbidiscono e gira con due feroci cani al guinzaglio da scatenare sui malcapitati. Philippe Leroy è il cattivo in giacca e cravatta, ormai anziano e paralitico, temuto e rispettato, bigotto padrone che chiude saloon e bordelli per far lavorare gli uomini del paese nella sua miniera. Martine Brochard è la bella ballerina che fa innamorare Mannaja ma, proprio per questo, viene uccisa e si sacrifica per difendere il suo uomo. Sonja Jeannine (insolita in un ruolo non sexy) è l’anonima quanto fedifraga figlia del padrone, innamorata del pazzo, forse il personaggio moralmente più abietto. Salvatore Puntillo è il simpatico gestore di un saloon itinerante con tanto di palcoscenico e ballerine disponibili.

Sergio Martino mette in scena il ritorno del pistolero, la vendetta nei confronti di chi da bambino gli uccise il padre, occupando le sue terre per sfruttare la miniera d’argento, assoggettando gli uomini del paese a una vita di stenti e privazioni. Mannaja è debitore di Keoma come motivi ispiratori della storia, per la colonna sonora country di Guido & Maurizio De Angelis, la fotografia di Zanni e le atmosfere nebbiose, crepuscolari, costellate da ralenti, caratterizzate da un montaggio cadenzato curato dall’esperto Alabiso.

Il fango e la nebbia sono le due cose che si ricordano di questo western del sottogenere ritorno e vendetta, insieme a eccessi splatter e a un’atmosfera torbida e malsana. Sequenze truci fin dall’incipit, con la mano del bandito mozzata da un preciso lancio di accetta, continuando con le torture praticate a Merli, seppellito con gli occhi spalancati fuori dal terreno, tenuti aperti da due stecchini conficcati nelle palpebre.

Sergio Martino è regista che sa girare di tutto nel cinema di genere; pure in questo caso non si smentisce, regala inquadrature originali (tra le gambe di un cavallo riprende l’arrivo dei pistoleros) e dirige gli attori con mano ferma, secondo una sceneggiatura scritta con il fido Scavolini. Molta suspense nei combattimenti, ben orchestrate le scene di azione, rispettate tutte le convenzioni western con un pizzico di originalità. Macchina da presa che si muove in soggettiva, panoramiche ampie, primissimi piani alla Sergio Leone, ormai un marchio di fabbrica del nostro western (taglio degli occhi azzurri di Merli). Scenografie e ambienti ben ricostruiti alle porte di Roma, nella zona di Manziana, con miniera e villaggio western credibili e intrisi di realismo, tra polvere, fango e vento che fischia.

Un piccolo classico del cinema western crepuscolare, da riscoprire.


Regia: Sergio Martino. Soggetto: Sergio Martino. Sceneggiatura: Sergio Martino, Sauro Scavolini. Fotografia: Federico Zanni. Musiche: Guido & Maurizio De Angelis. Montaggio: Eugenio Alabiso. Produttori: Luciano Martino, Felice Colaiacono. Case di Produzione: Devon Film, Medusa. Genere: Western (crepuscolare). Durata: 95’. Interpreti: Maurizio Merli, John Steiner, Philippe Leroy, Sonja Jeannine, Martine Brochard, Donald O’ Brien, Salvatore Puntillo, Nello Pazzafini, Rik Battaglia. Anno: 1977.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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