Il tempo ritrovato (1999)

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A prima vista può sembrare un’impresa impossibile sceneggiare La recherce di Marcel Proust. Il regista cileno Raúl Ruiz (Puerto Montt, 1941 – Parigi, 2011) – rifugiato in Francia dopo la caduta di Allende per sfuggire alla persecuzione di Pinochet -, ci riesce alla perfezione, partendo dall’ultimo dei sette volumi (Il tempo ritrovato) che compongono un’opera monumentale del Novecento.

Raúl Ruiz è un regista complesso e di difficile classificazione, rapido realizzatore di pellicole, assai prolifico, ideologicamente schierato a sinistra, sempre in bilico tra realismo e fantastico, dallo stile barocco e ridondante, molto letterario, perfetto per mettere in scena l’opera di Proust. Ruiz è molto apprezzato da una nicchia di intellettuali, ma resta ancora poco noto al grande pubblico, nonostante negli anni Novanta alcuni attori come Mastroianni (Tre vite e una sola morte, 1996), Malkhovic (Il tempo ritrovato) e Deneueve (Genealogia di un crimine, 1997) abbiano lavorato con lui, portandolo all’attenzione della critica grazie a opere ad alto budget. A nostro parere nel suo cinema si sente l’influenza di autori come Bergman (riflessione psicologica e aspetto onirico), Fellini (impianto teatrale) e Visconti (ricostruzione scenografica). Muore per infezione polmonare mentre gira il film Linee di Wellington (2011), portato a termine dalla moglie Valeria Sarmiento. Ricordiamo che Ruiz, nel 1968, quando ancora viveva in Cile, aveva messo in scena il capolavoro letterario di Guillermo Cabrera Infante, Tre tristi tigri. Introvabile.

Veniamo a Il tempo ritrovato. Il regista ci presenta un Marcel Proust vecchio e malato, preoccupato di riuscire a ultimare il suo capolavoro; grazie a continui salti temporali, flashback e sequenze oniriche ricompone tutti i tasselli della memoria dello scrittore e ripercorre l’architettura grandiosa del romanzo. La bravura di Ruiz sta nel saper sostituire la poesia delle parole di Proust con la poesia delle immagini, lo sfarzo decorativo, l’andamento lento e sognante del ricordo, a base di fotografia anticata color giallo ocra, di suggestioni fantastiche e surreali. Un piccolo capolavoro di oltre due ore e mezzo che sceneggia quasi tremila pagine di testo, sfruttando molti dialoghi originali, cogliendo le considerazioni più suggestive, approfondendo la filosofia proustiana senza badare al fatto che sta realizzando una pellicola poco commerciale. Certo, per chi non ha letto La recherche potrà apparire astruso, complesso, persino noioso, ma il film ha un andamento lirico così sognante da sfiorare la perfezione ed è capace di riprodurre su pellicola tutta la magia delle parole proustiane.

Girato da maestro, con abbondanza di piani sequenza, primi piani, soggettive, campi e controcampi teatrali; interpretato da attori ispirati come Catherine Deneuve (Odette), John Malkovich (Barone de Charlus) e Marcello Mazzarella (Marcel), che conferiscono veridicità a personaggi letterari; fotografato con toni decadenti, montato con tempi lenti, arricchito da costumi e scenografia sontuosi, stile Il gattopardo di Visconti.

Inutile narrare la trama, che ripercorre gli amori infelici di Marcel Proust, la vita di corte, le interminabili cene e feste danzanti dai Verdurin e dai Guermantes, gli amori omosessuali, in una parola le tematiche complesse di tutta La recherche. Importante dire che il regista cita in maniera originale e cinematografica l’episodio delle madeleines inzuppate nel tè che scatenano una tempesta di ricordi infantili, senza dimenticare il tanto atteso bacio della madre prima di andare a dormire.

Tema dominante della pellicola come del romanzo – ma è riduttivo chiamarlo romanzo – è il ricordo, il tempo perduto, il fatto che un uomo sarà sempre frutto di quel che è stato, prodotto unico del proprio passato. “Il problema non è quello di perdersi, ma di riuscire a ritrovarsi”, dice il protagonista usando le parole de La recherche. Il regista narra il dramma personale dell’artista, la sua vita e gli amori contrastati, ma anche il dramma collettivo della guerra, il cambiamento della società, la follia di un conflitto inutile che porta troppi morti, e la fine di una nobiltà che non è più la stessa.

Finale straordinario, dove vediamo il vecchio Marcel ricongiungersi al bambino che corre spensierato sulla spiaggia di Balbec, ove andava a passare l’estate con la nonna. Le stagioni della vita si uniscono in una magica sequenza con i tre Marcel che si sovrappongono e lasciano il posto l’uno all’altro. “Ho paura di morire non per me, ma per il mio libro”, aveva detto Marcel un istante prima al se stesso bambino. “Me lo farai leggere?”, era stata la risposta del piccolo. Per ricordare un’intera vita il poeta non vuole perdere neppure un istante prima di morire, perché quel che conta è l’aver fatto in tempo a scriverla e a racchiuderla in un capolavoro immortale, soprattutto nei due libri che usciranno postumi.

Raúl Ruiz è riuscito nell’impossibile: raccontare per immagini tutta la magia della letteratura. Da vedere assolutamente.


Regia
: Raúl Ruiz. Soggetto: Marcel Proust (liberamente tratto da Alla ricerca del tempo perduto). Sceneggiatura: Gilles Taurand, Raúl Ruiz. Fotografia: Ricardo Aronovich. Costumi: Gabriella Pescucci, Caroline De Vivaise. Scenografia: Bruno Beauge. Montaggio: Denise De Casabianca. Musica: Jorge Arriagada (Tema de Le temps retrouvé cantato da Natalie Dessay). Direttore di Produzione: Philippe Saal. Suono: Philippe Morel. Mixage: Gerard Rousseau. Assistente alla Regia: Antoine Beau. Produzione: Paulo Branco. Produttori Associati: Leo Pescarolo, Massimo Ferrero. Case di Produzione: Gemini Films, France 2 Cinema, Les Films du Lendemain, Blu Cinematografica (Italia). Produzione Associata: Mandragora Films. Paesi di Produzione: Francia/Italia. Pellicola: Kodak – Fujifilm. Esterni: Illers-Combray, Grand Hotel du Cobourg. Durata: 154’. Genere: Drammatico, Letterario. Interpreti: Catherine Deneuve (Odette), Emmanuelle Béart (Gilberte), Chiara Mastroianni (Albertine), Vincent Perez (Morel), Pascal Greggory (Saint-Loup), Marie-France Pisier (madame Verdurin), Marcello Mazzarella (Marcel Proust), John Malkovich (Barone de Charlus), Arielle Dombasle (madame De Farcy), Edith Scob (Oriane de Guermantes), Elsa Zylberstein (Rachel), Christian Vadim (Bloch), Dominique Labourier (madame Cottard), Philippe Mourier – Genoud (monsieur Cottard), Melvil Poupaud (il principe di Foix), Mathilde Seigner (Céleste), Jacques Pieiller (Jupien), Helene Surgere (Françoise), Andre Engel (Marcel vecchio), Georges Du Fresne (Marcel bambino), Monique Melinand (la nonna di Marcel), Laurence Frevier (la madre di Marcel), Jean François Balmer (lo zio Adolphe). Titolo originale: Le temps retrouvé.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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