Il diavolo sulle colline

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Il diavolo sulle colline è l’ultimo film per la televisione di Vittorio Cottafavi – un regista passato dal peplum spettacolare al piccolo schermo culturale – tratto dal secondo dei tre racconti de La bella estate (1949), di Cesare Pavese. Non esiste scrittore meno cinematografico di Pavese – forse solo Proust è altrettanto impossibile per il grande schermo -, perché i suoi romanzi vivono di sensazioni e di emozioni interiori, si reggono sul dialogo introspettivo. Proprio per questo il solo grande regista ad aver provato la trasposizione al cinema è stato Michelangelo Antonioni con Le amiche (1955), poi è stata la volta dei film televisivi girati da Vittorio Cottafavi e da Mario Foglietti (Prima che il gallo canti, 1992).

Il diavolo sulle colline è ambientato tra Torino e le colline del Belbo (siamo in provincia di Asti), nel 1937, poco prima dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, pure se la paura del conflitto bellico non viene mai citata, così come non si fa parola del fascismo. Pavese è interessato soltanto alla storia dei tre compagni torinesi (Oreste, Pieretto e Rino), studenti universitari di diversa estrazione sociale, che una notte incontrano Poli, un amico comune bello, ricco e viziato, dedito alla droga e alle serate nei locali notturni. Poli è quello che i tre amici non sono, ha un’amante che vorrebbe lasciare (e che muore suicida dopo aver tentato di sparargli) e una moglie con la quale convive in una ricca casa di campagna.

Il film si sviluppa – proprio come il racconto – quasi integralmente in un interno, dove matura una sorta di amore tra uno dei ragazzi e la moglie di Poli, mentre quest’ultimo scende tutti i gradini della sconfitta esistenziale, fino alla malattia che lo porta in sanatorio. Tra gli amici spicca la personalità di Pavese, come al solito inserita non in un solo personaggio ma diffusa a macchia di leopardo, nascosta sia nell’intellettuale Pieretto che nel bravo ragazzo Rino (io narrante) come nel campagnolo Oreste. Tratti dell’autore si notano anche in Poli (ispirato al conte Carlo Grillo, amico di Pavese), in certe affermazioni sulle donne e sulla vita, almeno come raffigurazione di quello che lo scrittore avrebbe voluto essere.

Il diavolo sulle colline è un film televisivo come oggi non se ne fanno più, riconoscibile dal formato anni Ottanta, molto teatrale e didattico, sceneggiato con grande rispetto della fonte da Dardano Sacchetti ed Elisa Briganti, proprio per divulgare l’opera di un grande scrittore. La recitazione è impostata e teatrale, così come l’azione si svolge quasi tutta in interni e in spazi campestri, se togliamo le prime sequenze a Torino, lungo il Po, nei locali notturni e nelle trattorie di periferia. La voce fuori campo è onnipresente ma necessaria per fungere da raccordo letterario alle varie parti della storia, così poco cinematografica. Molti dialoghi poetico-filosofici mentre i ragazzi vagano per le strade di Torino, osservano la città dalla collina, si trasferiscono in campagna e conversano sul senso della vita. “Senza i contrasti la vita è banale…”, “Ero un vecchio che si crede un ragazzo”, “E non era la prima che mi avesse deluso…” (riferito alle donne, costante negativa della vita di Pavese), “Di notte, in collina, non abbiamo che i grilli… e in due è come essere soli”, “Chi sei non può dirtelo nessuno…”, “Mi pareva che la collina avesse un sangue, vivesse…”, “Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi…”.

Il diavolo sulle colline è il classico racconto di Pavese, intriso di poesia e di ricerca interiore, scarso di azione e di eventi, fondato su un’amicizia virile cameratesca e sul solito giudizio complesso sulle donne, per un autore che deve fare i conti con la difficoltà di comprensione dell’universo femminile per tutta la vita. Il difetto della pellicola è anche il maggior pregio da un punto di vista culturale, perché è poco cinematografica, ma con tutta probabilità regista e sceneggiatori non ci provano neppure a realizzare un prodotto dinamico. Fotografia in quattro colori, ricostruzione di ambienti certosina – dai vestiti agli arredamenti, passando per i mezzi di trasporto -, colonna sonora monocorde, insolita per Guido e Maurizio De Angelis. Il diavolo sulle colline è un lavoro interessante per approfondire la conoscenza di Cesare Pavese.

Vittorio Cottafavi (Modena, 1914-Reggio Emilia, 1998), laureato in Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, diplomato regista (nel 1938) al Centro Sperimentale. Il suo debutto nel cinema lo vede sceneggiatore di Abuna Messias (1939) di Goffredo Alessandrini. Primo film da regista: I nostri sogni (1943). Nel primo dopoguerra collabora ad alcune pellicole di Michael Waszynski e si ricorda per un film su Salvo D’Acquisto (La fiamma che non si spegne, 1949) e per Una donna ha ucciso, una sorta di biografia melodrammatica. Si specializza nel peplum e nel cinema storico, firmando alcuni lavori spettacolari di grande presa popolare: La rivolta dei gladiatori (1958), Le legioni di Cleopatra, Messalina venere imperatrice (1959), Ercole alla conquista di Atlantide (1961). Il suo ultimo lavoro per il cinema è I cento cavalieri (1961), pellicola di scarso successo, a metà strada tra impegno civile e cinema di genere. Negli anni Sessanta-Settanta, Cottafavi rivolge il suo impegno alla televisione, producendo una serie di sceneggiati che restano nella storia: Sette piccole croci, I racconti di Padre Brown, Umiliati e offesi, Vita di Dante, Cristoforo Colombo, per finire con l’originale fantascientifico A come Andromeda (1972). Due film televisivi degli anni Ottanta: Maria Zef (1980) e Il diavolo sulle colline (1985).


Regia: Vittorio Cottafavi. Soggetto: Cesare Pavese (racconto Il diavolo sulle colline, tratto da La bella estate). Sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Elisa Briganti, Vittorio Cottafavi. Collaborazione alla Sceneggiatura: Manuela Cottafavi. Fotografia: Tonino Nardi. Organizzazione Generale: Sergio Giussani. Delegato Rai alla Produzione: Gabriella Lazzoni. Scenografia e Costumi: Elio Micheli. Musica: Guido e Maurizio De Angelis. Edizioni Musicali: Frame Music. Case di Produzione: Rai – Radiotelevisione Italiana, L.P. Film srl. Aiuto Regista: Walter Italici. Mezzi Tecnici: Elma. Macchine da Presa: Rec. Doppiaggio: CDS, SAS. Assistente al Doppiaggio: Misa Gabrini. Colore: Telecolor. Interpreti: Alessandro Fontana (Rino), Roberto Accornero (Pieretto), Daniela Silverio (Gabriella), Matteo Corvino (Oreste), Urbano Barberini (Poli, doppiato da Loris Loddi), Kristina Van Eyck (Rosalba), Rita Rondinella (cantante), Beatrice Palme (Resina), Maria Rosa Fassi (Pinotta). Anno: 1985.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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