Cattive storie di provincia

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Stefano Simone continua a produrre cinema artigianale con pochi mezzi, crescendo pellicola dopo pellicola, sia dal punto di vista della narrazione che affinando la capacità di dirigere gli attori, affrontando argomenti che stanno a metà strada tra il cinema di genere e la pellicola d’autore.

Cattive storie di provincia deriva (molto liberamente) da un soggetto a me caro, un mio vecchio libro di racconti che narra le vicende a tinte cupe della provincia viste dagli occhi di uno scrittore in crisi. Il regista metabolizza i racconti, sceneggia, fotografa, gira e monta un film che diventa una sua opera originale, non debitrice di alcuna ispirazione, capace di mostrare tutti i mali di una provincia sonnolenta e grigia, il lato oscuro che cova sotto la cenere d’una vita tranquilla e ordinaria. “Tutti abbiamo un lato oscuro e quando lo incontriamo nulla sarà come prima”, dice la citazione iniziale aprendo la porta a una serie di storie concatenate di malavita provinciale, bullismo e piccola criminalità, tenute insieme dall’esile collante narrativo di uno scrittore a caccia di idee per scrivere un nuovo romanzo.

Una delle cose più riuscite del film è il dialogo surreale tra editore (un bravissimo Totaro) e scrittore (un diligente Armiento), tra campi e controcampi teatrali, scambi di battute sarcastiche, risate grottesche e inviti a darsi da fare per produrre nuove opere. Tutto il film è molto teatrale, gli attori sono bravi, sostengono il peso di lunghe parti dialogate, di scambi di battute piuttosto corpose, di dibattiti cinematografici e letterari inseriti tra le righe di una conversazione.

Ottima Rosa Fariello, moglie insoddisfatta di uno scrittore in crisi, costretta a rinunciare alla vita che aveva sognato per mancanza di denaro e per aver sposato un fallito. Il suo ruolo la rende antipatica al pubblico ma si tratta di un effetto voluto e l’odiosità del personaggio significa bravura di interprete e sceneggiatore.

Simone cita David Lynch (il film che capisce solo lui), il noir e il pulp, persino Hitchcock (se si vuole, tutto il film è una sorta di lunga citazione a La finestra sul cortile); usa la macchina a mano con naturalezza, il suono in presa diretta cattura i rumori della città di provincia, ce ne fa sentire addirittura voci e respiri. Zavattini sarebbe contento di apprezzare in Simone un suo (forse inconsapevole) seguace della teoria del pedinamento, perché la sua macchina da presa segue il protagonista e non lo abbandona, mentre il film si sviluppa sequenza dopo sequenza, come se non seguisse una vera sceneggiatura.

Cattive storie di provincia è cinema d’autore, nei tempi e nel montaggio compassato, oltre che nelle tematiche, perché il regista insiste su lunghe sequenze che a prima vista possono sembrare ripetitive ma che sono inserite proprio per far assurgere la provincia al ruolo di vera protagonista della storia.

Fotografia diurna molto viva, color pastello, che si alterna a cupi notturni venati di un colore ocra. Musica ossessiva di Luca Auriemma, tambureggiante, sonorità rock originali e pezzi tratti dal repertorio dei Nirvana che accompagnano l’incedere progressivo di una storia molto pasoliniana, girata tra bellezza e degrado, tra lo stupendo lungomare di Manfredona e le periferie decadenti.

Cattive storie di provincia è un noir psicologico che scava a fondo nella psiche umana, spiega la genesi di un serial killer, racconta il venire alla ribalta di un istinto omicida sopito, si dedica a centellinare gli episodi criminali di una provincia dimenticata. Non è importante cosa si racconta ma come lo si racconta, in definitiva. Stefano Simone sceglie il modo più originale di fare cinema noir, mostrando il meno possibile scene efferate, ma entrando nella mente dei suoi personaggi e di una provincia intera, sempre meno isola felice, sempre meno oasi tranquillizzante. Un passo in avanti del giovane regista pugliese, nella direzione di un cinema d’autore meno spettacolare ma più riflessivo. Da vedere.

Regia: Stefano Simone. Soggetto: liberamente ispirato a Cattive storie di provincia di Gordiano Lupi (Acar Edizioni). Sceneggiatura: Stefano Simone. Consulenti: Gordiano Lupi, Simone Giusti, Matteo Simone. Fotografia e Montaggio: Stefano Simone. Musiche: Luca Auriemma (brani musicali dei Nirvana). Fotografo di Scena: Tony Wild. Produzione: Indiemovie, Bee Creative. Interpreti: Luigi Armiento, Rosa Fariello, Filippo Totaro, Francesco Leone, Martina Olivieri, Luciano Falcone, Gianluca Di Trani, Sabrina Ciuffredda, Vincenzo Totaro, Rita Ciociola, Tonino Potito, Francesco V. Vitulano, Francesco D’Ambrosio, Leonardo Guerra, Marika D’Errico, Annamaria Tomaiuoli, Ciro Famiglietti, Fabio Penza, Nicola Prencipe, Luisa Starace, Lillo Giordano. Anno: 2019

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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