Black Killer

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Incredibile. Non sono un esperto di western italiano, soprattutto non ho visto molti prodotti minori. Non sapevo che Carlo Croccolo – cabarettista napoletano noto come doppiatore di Totò – avesse fatto anche il regista. E invece, grazie a Cine 34, vado a scoprire un cult assoluto del 1971 dove Croccolo non solo dirige gli attori e muove la macchina da presa – anche se Aristide Massaccesi come operatore fa da garante – ma si ritaglia persino un ruolo da vicesceriffo con accento napoletano. Facendo qualche ricerca scopro che Croccolo aveva girato Una pistola per cento croci, sempre nel 1971, alcuni mesi prima, e che negli anni Sessanta, per motivi alimentari, potrebbe aver girato alcuni video porno amatoriali. Altra nota curiosa, in entrambi i film recita la moglie del regista, Marina Rabbissi, che prende il nome anglofono di Marina Mulligan, scatenando un caos tra gli esperti di cinema che si sbizzarriscono con le ipotesi più strampalate: Marina Malfatti, Marina Morgan, Marina Marfoglia… Taglia la testa al toro lo stesso attore, che confida il segreto nel corso di un’intervista. Marina Mulligan è la Rabbissi, interprete (si fa per dire) soltanto delle due pellicole western dirette dal marito. Film strano anche per la presenza di Tiziana Dini: pure lei non ha fatto molto, ma anche qui gli esperti di cinema la chiamano Pini scambiandola per un’altra. Un sacco di nomi americani corrispondono a italiani: si tratta di attori napoletani amici di Croccolo (Enzo Pulcrano, Dante Maggio, Calogero Caruana), mentre uno straniero vero è il norvegese Robert Danish, per alcuni anni marito di Agostina Belli. Il massimo del cult sono alcuni attori con la faccia intrisa di cipria scura per farli sembrare messicani; il più evidente è Cantafora, ma anche la Rabbissi è un’indiana dipinta con il pennarello.

Un western curioso che non avevo mai visto, vietato ai minori di anni 14 per la presenza di numerosi nudi – del tutto gratuiti! – e di molte scene violente, soprattutto di prolungati stupri. Le attrici più nude sono la Dini (ballerina del saloon) e la Rabbissi (indiana violentata): su di loro la macchina da presa di Croccolo si concentra con passione, anche se l’operatore si chiama Massaccesi e di simili sequenze è un vero esperto. Carlo Croccolo non ce lo vedi nel ruolo del vicesceriffo, ti scappa da ridere solo a sentirlo parlare, tra battute napoletane e ammiccamenti da commedia dell’arte. Infine c’è Klaus Kinski, presenza incredibile in un simile film, con una parte che pare appiccicata a forza, visto che l’attore osserva quel che accade per intervenire soltanto nel finale, con un escamotage a base di pistole nascoste in giganteschi libri.

La trama conta davvero poco, viste le curiosità che abbiamo individuato e gli enigmi che hanno trovato soluzione nei quattro volumi definitivi sul western italiano scritti da Matteo Mancini. Diciamo solo che tutto si svolge a Tombstone (siamo nelle campagne romane e alla De Paolis), dove i fratelli O’Hara fanno il bello e il cattivo tempo, gli sceriffi muoiono al ritmo di uno ogni tre giorni e resistono solo un pavido vicesceriffo che non si espone e un messo governativo truffaldino. Klaus Kinski è un killer in combutta con Burt Collins, che arriva a Tombstone per fare piazza pulita dei criminali e intascare il malloppo, spacciandosi per avvocato e facendo eleggere sceriffo il compare.

Molti buchi di sceneggiatura, compensati da tanta violenza e da scene d’azione intense con primissimi piani alla Sergio Leone e movimenti di macchina un po’ sghembi, alla Joe D’Amato (infatti muove la macchina con il suo vero nome!). Da recuperare.


Regia: Carlo Croccolo (Lucky Moore). Soggetto e Sceneggiatura: Carlo Croccolo, Carlo Veo. Fotografia: Franco Villa. Musiche: Daniele Patucchi. Montaggio: Luigi Castaldi. Operatore alla macchina: Aristide Massaccesi. Scenografia: Giovanni Cannavò. Produttori: Oscar Santaniello, Carlo Marina. Casa di Produzione: Virginia Cinematografica. Distribuzione: Indipendenti Regionali. Genere: Western. Durata: 93’. Interpreti: Klaus Kinski, Fred Robsaham, Antonio Cantafora, Paul Crain (Enzo Pulcrano), Dante Maggio, Marina Mulligan (Marina Rabbissi), Tiziana Dini, Ted Jones (Calogero Caruana), Carlo Croccolo, Robert Danish (Antonio Danesi), Claudio Trionfi. Anno: 1971.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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