Orizzonti di gloria

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Fra le consuetudini più crudeli della prima guerra mondiale sono da annoverare i processi delle corti marziali alle truppe combattenti, e le conseguenti condanne a morte dei militari accusati di viltà davanti al nemico.
A ben vedere, l’immoralità di queste pratiche non stava tanto nella loro spietatezza, quanto nell’uso distorto che di esse facevano le gerarchie militari. Avveniva talvolta che alcuni generali troppo aggressivi, di fronte al fallimento dei propri attacchi, ne scaricassero la responsabilità sulle truppe ed esigessero che i tribunali militari punissero – spesso con la fucilazione – i soldati delle unità “poco combattive”. Così, a causa dell’incapacità di pochi di riconoscere i propri errori, e grazie a una finzione giuridica ai limiti della connivenza, molti, scampati al fuoco nemico, venivano condotti a una morte ingiusta di fronte ai plotoni d’esecuzione.

Sono queste le coordinate tematiche entro cui si muove Orizzonti di gloria (1957), che Stanley Kubrick, all’epoca meno che trentenne, trasse dal romanzo omonimo di Humphrey Cobb. Il libro fu peraltro riadattato in fase di sceneggiatura e, nella resa cinematografica, il regista ne smussò il patetismo, concentrandosi sulla rappresentazione dei rituali del potere militare.
Il film, che schiera fra gli interpreti le stelle hollywoodiane Kirk Douglas, nei panni del colonnello Dax, e Adolphe Menjou, nella parte del generale Broulard, è ambientato nel 1916 sul fronte franco-tedesco. Narra dell’attacco che l’ambizioso generale Mireau (George Mcready), sollecitato da Broulard, progetta di sferrare contro “il formicaio”, una munitissima postazione tedesca, praticamente inespugnabile.
Dopo l’inevitabile insuccesso, Mireau, deciso a punire il comportamento delle truppe, ottiene che una corte marziale giudichi tre soldati, ciascuno in rappresentanza della propria compagnia, accusati di codardia di fronte al nemico. Sarà Dax, che nella vita civile è avvocato, a incaricarsi della difesa dei tre uomini. Nel corso del processo, la cui sentenza è comunque già scritta, egli dimostrerà l’inconsistenza del capo d’imputazione, e riuscirà anche a mettere in dubbio l’obiettività e l’attitudine al comando di Mireau.

Orizzonti di gloria è un film cupo e raggelante, girato in un bianco e nero volutamente contrastato, e tutto giocato sullo scontro fra due mondi irriducibili: quello scintillante dei generali, dediti all’esercizio di un potere di vita e di morte sulle proprie truppe, e quello oscuro dei soldati, mandati alla distruzione solo per soddisfare l’ambizione o salvare la reputazione dei loro comandanti. A questo conflitto fondamentale il regista americano, con il geniale perfezionismo che gli è proprio, riferisce ogni minima parte del film, conferendogli una compattezza che raramente si incontra in altre opere del genere.
Si pensi, ad esempio, all’opposta simmetria dei commenti musicali collocati agli estremi del film: se sui titoli di testa La Marseillaise, originariamente un inno rivoluzionario, sottolinea per antitesi i rigidi rituali delle gerarchie militari, al termine Der treue Husar, un canto popolare tedesco intonato da una “nemica” di fronte ai francesi, evoca, nella progressiva commozione indotta nei soldati, l’evidente comunanza fra i combattenti delle due parti.
Anche i segnali visivi, primo fra tutti, come si è già detto, l’uso stilistico del bianco e nero, sono utilizzati da Kubrick per marcare la separazione fra i due mondi: i luoghi in cui agiscono i generali – siano essi castelli, aule di tribunale o piazze d’armi – sono infatti sfarzosi come le loro uniformi, e vengono costantemente illuminati da una luce bianchissima, quasi accecante; al contrario, la vita dei soldati è dominata dal nero: essi si muovono nelle trincee scavate nel sottosuolo, durante la notte escono in pattuglia nella terra di nessuno, combattono strisciando su terreni fangosi e devastati e, in attesa della fucilazione, sono rinchiusi in un carcere buio e claustrofobico.

A livello interpretativo, l’opposizione fondante risalta nelle scene ove sono messi a confronto i tre personaggi principali del film: il colonnello Dax, generoso e idealista, schierato senza riserve con i soldati, e i generali Mireau e Broulard, i rappresentanti della gerarchia.
Mireau è il tipico militare dominato dall’ambizione più ottusa e dall’aggressività più scriteriata. Broulard è il politico sottile, mosso da un cinismo disumano, che suggerisce al collega, giocando sul suo desiderio di far carriera, l’attacco al “formicaio”, al solo scopo di crearsi l’occasione per metterlo in difficoltà.
Proprio da Broulard verrà proposta a Dax la promozione al posto di Mireau, ormai in disgrazia dopo il processo. Di fronte al rifiuto di Dax, inorridito per le ingenti perdite e la fucilazione di tre innocenti causate da questo disegno, Broulard si rammarica per l’occasione non colta e, chiuso nel suo maniacale universo, ove tutto si giustifica in termini di lotta di potere e di intrigo, giunge a considerare il colonnello poco meno che un folle.
È facile vedere come i protagonisti, tanto privi di chiaroscuri da non sfuggire a qualche schematismo di troppo, corrano il rischio, soprattutto nel caso di Mireau, di apparire più simbolici che reali. Al contrario, il film si snoda fluidamente e le azioni dei tre risultano sempre giustificate e coerenti: ciò è indubbiamente un merito da attribuire a Kubrick, non solo regista straordinario, ma sceneggiatore e direttore di attori altrettanto grande.

Più che nell’analisi dei singoli elementi costitutivi, il valore autentico di Orizzonti di gloria va ricercato nella visione propriamente detta, ove colonna sonora, stile registico e prove attoriali concorrono armoniosamente a esprimere il pensiero dell’autore. A tal proposito, ci pare opportuno indicare due celebri sequenze, nelle quali è evidente la natura dualistica del film. La prima raffigura la visita del generale Mireau alla trincea, nell’imminenza dell’attacco al “formicaio”: Mireau, elegante nella sua uniforme, è ripreso da un carrello all’indietro e procede tronfio nei camminamenti, a passo marziale e a rullo di tamburo, fermandosi di tanto in tanto vicino ai soldati, e ponendo a ciascuno di loro, meccanicamente, la stessa domanda: «Pronto ad uccidere altri tedeschi?». La seconda rappresenta l’attacco dei francesi al “formicaio”, cui fanno da unico commento sonoro i rumori della battaglia: si tratta di una lunga carrellata laterale in cui il regista, dopo aver seguito la massa dei soldati che avanza strisciando fra reticolati e voragini, indugia con lo zoom su Dax, che, pur non cessando di spronare i suoi uomini all’assalto, li vede tutti cadere attorno a sé e appare sempre più incerto e sconfortato.

Nonostante il fatto che Orizzonti di gloria, per i suoi contenuti, sia stato bloccato in Francia fino al 1975 e sia stato distribuito negli Stati Uniti solo grazie alla presenza di Kirk Douglas, è difficile sostenere che esso contenga un vero e proprio messaggio antimilitarista. È evidente infatti che il film non mette mai in discussione la guerra, ma la registra come un dato di fatto, di cui si limita a rappresentare i rituali. A ben vedere, il suo romantico finale ritrae soltanto una breve pausa di quiete fra una battaglia e l’altra. Persino lo stesso Dax non si rifiuta mai di combattere, né l’uscita di scena di Mireau porta a un reale cambiamento della situazione. Il male dell’uomo, sembra dirci Kubrick, non è nella guerra, ma nell’uomo stesso.
In altre parole, Orizzonti di gloria non può essere considerato un testo pacifista, ma soltanto uno dei capitoli della riflessione di Kubrick sulla Storia. Una riflessione che accomuna nel medesimo pessimismo il passato, il presente e il futuro. Opposto all’umanesimo di Roberto Rossellini, quello di Kubrick è precisamente un anti-umanesimo, negatore di ogni progresso e di ogni dialettica positiva, dominato dalla morte e dalla violenza, e privo della minima speranza di riscatto.

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Un altro uomo invisibile che galleggia in mezzo al mare del nulla, è arduo definirlo sia per tratti somatici che per età. Campa la vita lavorando, di contraggenio, in uno dei templi assoluti della brescianità e, ciò nonostante, ne prende ispirazione per le cose che scrive. Espulso da tutti i circoli cui si è aggregato, gli amici lo chiamano “Wikipedia” a causa dei discorsi incomprensibili e della pronunzia, che confonde in un unico suono le erre, le elle, le vu, le pi, le bi, le esse e le effe. Sostiene di essere pacifista, ma si vanta di aver redatto, molto tempo fa, alcuni testi rivoluzionari per un ex-guerrigliero irascibile e avarissimo, ora convertitosi al libero mercato.

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